di Giorgio Gagliardi

mercoledì 16 maggio 2018

Come sempre i bambini insegnano/What Children Teach Us

1) Siria, siamo tutti assassini
Articolo del 9 aprile 2018 di: ANDREA IACOMINI
Non potevamo rimanere indifferenti a quello che sta accadendo in Siria in questi giorni. Abbiamo chiesto al Portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini, un commento. Ecco le sue parole:
«Io sono stanco. E mi vergogno di esserlo. Stanco di ripetere le stesse cose da 7 anni, di chiedere alla politica e alla comunità internazionale di dire qualcosa, di girare l’Italia o le tv a spiegare agli italiani che siamo di fronte ad un massacro senza precedenti. I bambini siriani non hanno voluto questa guerra infinita. Non hanno chiesto di fuggire, di perdere un braccio o una gamba per colpa delle bombe, di piangere sul corpo dilaniato sotto le macerie di mamma o papà, di vivere nei rifugi sotterranei, di mangiare per giorni radici di piante e carcasse di animali nelle città sotto assedio.
Non hanno chiesto di nascere e vivere in un campo profughi nel deserto né di imbracciare fucili e andare a combattere come soldati. Non hanno soprattutto chiesto di morire asfissiati dal gas, esattamente come i loro coetanei che abbiamo lasciato affogare nel mar d’Europa. Chiedono solo pace, ma tutto tace. Il Papa chiede pace ma qualcuno “silenzia” anche lui.
Tacciano per sempre i soloni della geopolitica, almeno in questi giorni. E basta con le foto che emozionano a intermittenza, non servono più. Nessun interesse nazionale giustifica un genocidio di questo tipo, nessuna guerra di religione o di conquista giustifica 7 anni di inazione, di veti, di dialoghi mancati.
Mio figlio che fa la quarta elementare, tra qualche anno, appena avrà finito di studiare gli egiziani, i sumeri e i babilonesi e avrà dimenticato i confini del mondo (perché la geografia non si insegna più nelle scuole), mi chiederà “perché non li avete fermati, voi che sapevate cosa stava accadendo?” Ed io, già lo so, domani come oggi non saprò cosa rispondere. Sono un assassino figlio mio, perdonami».
(Continua su: https://www.articolo21.org/2018/04/siria-siamo-tutti-assassini/).
Nessun commento su questo schifo di razza umana che riesce ad essere assassina in ogni maniera. Ora mancano le bombe biologiche e radioattive. I vari stati usano tutto per distruggere i loro simili. Maledetti guerrafondai osceni.

2)  Bimbo dona i suoi risparmi al medico che ha curato la mamma dal cancro: “Per la ricerca”
Ad un medico oncologo dello IEO, l’Istituto europeo di oncologia di Milano, sono arrivati i risparmi di un bambino che così lo ringraziava per aver curato la madre da un tumore.
CRONACA LOMBARDIA MILANO 6 APRILE 2018  11:38 di Francesco Loiacono
Pochi centesimi, che però per un bimbo di 5 anni rappresentavano tutti i risparmi. Questo è quanto un medico oncologo dello Ieo, l'Istituto europeo di oncologia di Milano, si è trovato sulla scrivania alcuni giorni fa. I soldi erano all'interno di una busta indirizzata al professor Pietro Caldarella, che davanti alla tenerezza del gesto non ha resistito e ha scattato una foto, pubblicandola su Facebook: "Stamattina il figlio di una mia paziente di 5 anni mi ha dato questo biglietto per ringraziarmi delle cure alla sua mamma e dentro c’erano i suoi risparmi che ha voluto donarmi per la ricerca sul cancro …mi veniva da piangere !!!!".
Il post dell'oncologo è diventato virale
Il post, pubblicato lo scorso 27 marzo, è diventato virale: oltre centinaia le condivisioni, migliaia i "mi piace" e tanti anche i commenti. Il medico della struttura fondata da Umberto Veronesi ha spiegato che il bimbo è il figlio di una sua paziente di 35 anni, arrivata dalla Sardegna a Milano lo scorso anno per operarsi per un tumore al seno. Il bambino, figlio della donna, ha voluto ringraziare il medico per aver curato la sua mamma, ma allo stesso tempo, anche se in tenera età, ha probabilmente rivolto un pensiero a tutti gli altri malati di cancro, decidendo di destinare i suoi risparmi alla ricerca contro i tumori: "La sincerità, generosità l'amore verso la mamma e il prossimo è nella semplicità dei bimbi, noi grandi tutti ne dovremmo prendere esempio", ha commentato uno degli utenti di Facebook sotto al post dell'oncologo. Il medico, da parte sua, ha ringraziato il bimbo autore di un gesto così bello: "La tua mamma è guarita, starà sempre con te". Chissà che il bel gesto del bambino non faccia capire a tutti, anche agli adulti e a chi si trova in posizioni decisionali in l'importanza della ricerca in campo medico.
Ogni tanto spunta tra i numerosi atti di bontà tra i bambini qualche lettera con indirizzo scritto alla loro maniera che veramente fa commuovere, come quello che potete aver letto se state cercando anche qualcosa di nuovo in questa umanità che mostra lati sempre più ripugnanti. L’Umanità ancora sommersa esiste e speriamo che presto si moltiplichi, anche se si moltiplica il male, il terrorizzare la gente. È tutto un sottofondo che purtroppo ci spinge sempre più nella palude dalla quale si tenta di uscire e per primi ne escono i bambini con le loro battute che ci fanno trasecolare e sperare ancora in un futuro prossimo. E questi fatti, oltre che a commuovere, fanno cambiare radicalmente i pensieri anche agli adulti che le ricevono e che si comporteranno sempre meno conformemente alla modalità della guerra e della potenza con cui schiacciare gli altri.
Grazie ancora, bambini, di quello che fate; tutto è scritto e ve lo ricorderà Colui che voleva un mondo migliore ed uguale per tutti. Ve lo assicuro e prometto anche a nome Suo. Grazie ancora e a presto risentirci.

3) Professoressa colta da malore in casa: i suoi studenti le salvano la vita
Allarmati da due giorni di assenza della docente – una 50enne con disabilità motorie – alcuni studenti dell’Istituto Cesaro di Torre Annunziata hanno deciso di recarsi a Vico Equense, dove la professoressa abita, per capire cosa le fosse successo: non ricevendo risposta, i ragazzi hanno chiamato i carabinieri che, entrati in casa, hanno trovato la donna per terra, colta da malore. L’intervento dei suoi studenti le ha di fatto salvato la vita.
CRONACA NAPOLI E CAMPANIA - PENISOLA SORRENTINA - ULTIME NOTIZIE - 14 MAGGIO 2018, 11:28 di Valerio Papadia
Dopo i numerosi episodi di bullismo arrivati da tutta Italia, in cui gli insegnanti sono stati derisi, insultati, minacciati e aggrediti dagli studenti, una storia che testimonia l'amore di alcuni ragazzi per la propria professoressa arriva dalla provincia di Napoli. Alcuni studenti dell'Istituto Cesaro di Torre Annunziata sono stati allarmati dalla prolungata assenza di una delle loro docenti, una 50enne affetta da disabilità motorie: la professoressa, infatti, non si recava al lavoro da due giorni, circostanza molto insolita, dal momento che la donna si assentava di rado.
Vico Equense, studenti salvano la vita alla loro professoressa
Gli studenti hanno così deciso di andare a controllare di persona cosa le fosse accaduto: da Torre Annunziata si sono così recati a Vico Equense, nella Penisola Sorrentina, dove la docente abita. Non ricevendo alcuna risposta al citofono, i ragazzi hanno così allertato i carabinieri: i militari giunti sul posto hanno fatto irruzione nell'appartamento della 50enne, trovandola riversa sul pavimento; la donna era stata colta da un malore ed era impossibilitata a muoversi. Immediata la corsa in ospedale: dopo le cure del caso, il peggio è passato e la professoressa ha potuto fare ritorno a casa e dai suoi studenti, che le hanno di fatto salvato la vita.
"Le sue lezioni sono racconti nei quali ci presenta ogni giorno un personaggio diverso, come se lo avessimo con noi in aula. Speriamo torni presto", racconta Alfonso, uno degli studenti della professoressa.
Bravi studenti, che, con un’umanità molto rara al giorno d’oggi, avete aiutato una professoressa in pericolo di vita a salvarsi. Grazie di tutto, anche se quello che è detto è ancora poco. Il futuro vostro è senz’altro di stimolo a risollevarsi per una umanità inaridita e gretta, grazie all’aiuto senz’altro di Qualcuno che veglia sulla deriva della specie umana che diventa disumana. Grazie ancora a nome soprattutto di quei bambini che innocentemente muoiono per gravi colpe e vendette inconcepibili degli adulti.

4) Nigeria: 4 ragazzine usate come kamikaze
5 morti e tredici feriti alla periferia di Maiduguri, nel Borno
Redazione ANSA ROMA - 31 marzo 2018 - 18:58
Quattro ragazzine usate dai fondamentalisti come kamikaze e un'altra persona sono rimaste uccise in attacchi simultanei in un villaggio alla periferia di Maiduguri, capitale dello stato del Borno, in Nigeria. Tredici i feriti. Lo riferisce la polizia locale precisando che gli attentati sono avvenuti ieri sera poco prima delle 22, l'ora in cui inizia il coprifuoco per questo la maggior parte degli abitanti del villaggio si trovava in casa. Tutte e quattro le kamikaze sono morte negli attacchi, l'altra vittima è una donna, i feriti sono stati tutti ricoverati in ospedale. Nello stato nigeriano del Borno sono molto attivi i terroristi islamici di Boko Haram. All'inizio del mese sempre alla periferia di Maiduguri un kamikaze in bicicletta aveva ucciso tre persone. Dal 2009 la guerriglia dei Boko Haram ha ucciso tra 15-20 mila persone in Nigeria e paesi confinanti innescando una crisi umanitaria da 2,3 milioni di sfollati e profughi.
(Continua su: http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/africa/2018/03/31/nigeria-4-ragazzini-usate-come-kamikaze_f12e5a8b-35b3-476a-a169-df80579e93c5.html).
La notizia è circolata alla svelta (sveltissima) sui media, e non si trova quasi più, perché va dimenticata alla svelta per lasciare il posto agli scoop, come la notizia sulla stazione spaziale cinese che ci può cadere sulla testa da un momento all'altro con aggiornamenti continui che continuano a spostare la caduta e la velocità di discesa… Come se i meteoriti che caddero (e possono cadere ancora) fossero cosa remota che non può risuccedere, perché passano a migliaia di chilometri di distanza  e non c'è quello giusto che sfugge ai controlli e che distrugge gran parte della nostra crosta terrestre facendo un buco in cui scompaiono popolazioni intere… Ma non pensiamo a questo, né pensiamo alla Striscia di Gaza o al fatto che gendarmi francesi siano entrati in Italia senza chiedere il permesso a nessuno e l'Italia ha ruggito belando, lamentando l'intrusione: chissà se in tempi passati questo scherzetto non avrebbe provocato una ritorsione come in Israele, quando a un razzo nella loro terra rispondono in modo simile… ma noi ruggiamo come pecore.
Torniamo alle ragazzine: quattro. Non una, ma quattro: cerchiamo di capire e di vedere quattro nostre figlie che si squarciano perché c'è un assassino che non lo fa con le sue mani, ma con quelle degli altri, e non si serve di adulti ma di bambini e/o adolescenti. Anche in questo caso bisogna far sparire alla svelta la notizia,come anche tutte le altre sul fatto che non c'è ancora un governo e ci meraviglia questo in una Italia ridotta così.
Ma non lasciamoci ingannare, né crediamo che siano finiti gli shahid. A Mogadiscio, che è in Somalia, c’è stato un altro shahid e ancora morti: tanto chi li manda se ne sta a casa e manda come sempre gli altri a fare il lavoro sporco di farsi esplodere sperando nel nulla promesso.

5) Somalia, kamikaze su autobomba si fa esplodere a Mogadiscio: 7 morti
L'attacco, non lontano dal Parlamento, è stato rivendicato dai miliziani islamici di Al Shabaab
25 marzo 2018 Ancora un attentato a Mogadiscio: un kamikaze si è fatto esplodere su un'autobomba dinanzi la porta principale della sede del ministero dell'Interno della Somalia, non lontano dal Parlamento. Il bilancio è di almeno 7 civili morti. Le vittime includono due soldati mentre molti dei circa 10 feriti sono guidatori di risciò, ha precisato il capitano della polizia Mohamed Hussein. Secondo fonti della sicurezza, erano almeno tre le auto imbottite di esplosivo che stamane si sono dirette contro la capitale somala per compiere attentati contro edifici governativi: una è esplosa di fronte al ministero dell'Interno, un'altra è stata intercettata alle porte di Mogadiscio e l'autista si è fatto saltare in aria, mentre un terzo è ancora ricercato dalla polizia. Terroristi di Al Shabaab rivendicano l'attentato I miliziani di Al Shabaab hanno rivendicato l'attentato, sostenendo che l'esplosione ha ucciso 13 guardie presidenziali. Lo riferisce l'agenzia Ap ricordando che il gruppo terroristico, nelle sue rivendicazioni, spesso esagera il numero di vittime. La strage di giovedì scorso L'attacco avviene appena tre giorni dopo l'attacco con autobomba che ha ucciso almeno 14 persone, ferendone altre dieci, nei pressi dell'hotel Weheliye sull'affollata Makka Al Mukarramah Road. Mogadiscio è spesso obiettivo dell'organizzazione integralista islamica somala al Shabaab,  cellula somala di al Qaida dal 2012, che vuole imporre alla Somalia una versione estrema della Sharia, la legge islamica. Viene ai suoi miliziani attribuito l'attentato con camion bomba che in ottobre uccise 512 persone.
(Continua su: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Somalia-kamikaze-in-autobomba-si-fa-esplodere-a-Mogadiscio-7-morti-27374281-5676-4096-ba7d-a59bc31d85cc.html).
Riprendiamo a ricordare i morti ammazzati innocenti come le quattro ragazzine che si sono fatte esplodere ancora una volta dietro istigazione del male che ha un solo nome: Satana. Ricordiamocelo bene, Satana si nasconde dietro tutto questo male, ma spuntano sempre le sue modalità di fare: satana odia l’uomo, lo inganna ed è omicida per eccellenza. Se ricordate caino osserverete che c’è sempre stato dall’inizio del mondo: era già presente sullo scenario mondiale per assassinare e, come scusante, riportare l’odio che caino avevo dentro di sé; tuttavia la spinta veniva da lui bugiardo ed omicida. Ci vuole tutti nel suo regno per eguagliarsi a Dio, ma non si ricorda quanto dice “Gesù”, e cioè che è sì, il principe del mondo, ma è già stato vinto, ha già perso, anche se ha un certo ambito di manovra nella volontà dell’uomo, troppo debole per decidere da sola. Satana è il principe di questo mondo, non il suo padrone: ricordiamocelo e rinfacciamoglielo, se siamo protetti dal vero padrone di questo mondo in cui speriamo tanto.
Mentre si scrive questo articolo i morti esposi sono sempre troppi, specie se sono donne e bambini ingannati dalle bugie di chi li manda a morire, promettendo premi speciali oltre alla promessa che saranno i martiri, ovvero i prescelti dal loro dio per un fine che non si conosce, ma che è ventilato magari con l’aiuto di droghe che mandano in confusione la mente di chi non giudica più quello che sta compiendo e percepisce solo l’intento rituale della morte tra gli infedeli da distruggere.
Purtroppo i kamikaze o shahid continuano ancora imperterriti. C’è il caso estremo di un’intera famiglia che si è fatta esplodere provocando morti innocenti, colpevoli solo di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato: una famiglia composta da genitori e figli anche minori, ma soggetti al volere dei genitori impazziti se non come al solito anche drogati.
Sono scenari che non hanno un fine, ma si diffondono a macchia d’olio per difendere un’ideale che crea solo morti squarciati, forieri di altre morti per vendetta, il solito serpente che si morde la coda anche se la coda è l’umanità inumana che distrugge se stessa.
Il seguente articolo è molto lungo, ma discerne bene l’argomento fin troppo trattato e sempre lasciato nel cassetto, nonostante le varie commissioni e contro-commissioni per farlo diventare effettivo.

6) Violenze negli asili nido: è il momento di dire basta
Continuano le violenze commesse negli asili italiani e viene il sospetto che le norme in vigore non offrano strumenti idonei a fermare l’ondata di soprusi. Vediamo cosa dice la legge e cosa è possibile fare.
 5 OTTOBRE 2016  15:48 di Giuseppe Lenzi
Pare che non vi sia giorno, in questo maledetto Paese, in cui pagine e pagine di giornali non mancano di narrare, in copioso e discutibile dettaglio, tipologie e tempi delle inaudite violenze che si scatenano sui nostri figli e nipoti che credevamo di affidare alle amorevoli cure degli asili italici. E nei TG la dose di orrore rincara perché alle parole di piombo del cartaceo si aggiungono immagini in confronto delle quali quelle del famigerato carcere di Abu Ghraib (la prigione dei prodi militari USA torturatori dei prigionieri in Afghanistan), se mai fosse possibile, sbiadiscono. Se intollerabili sono le violenze di uomini contro uomini, che dire di quelle contro indifesi bambini?
La misura pare colma e le cosiddette Autorità competenti (Regioni e Comuni) che, ai sensi della normativa vigente (legge 107/2015 "la buona scuola" e la legge regionale campana n° 48 del 4 sett. 1974) dovrebbero svolgere l'alta vigilanza sugli asili nido, sembrano essere del tutto indifferenti a quanto accade. Immagino sia noto a tutti che il disvelamento delle tragiche e inaudite violenze patite ogni giorno, dai piccoli scolari, in un qualche squallido asilo comunale italico, affiora solo dopo che i genitori, i nonni o qualche attento parente avverte, nel bimbo, qualche significativo turbamento
Casi recenti | Cosa dice la legge | Cosa fare
A Casarile (Pavia) qualche tempo fa i genitori di Sara tre anni confidano: "la bimba veniva a casa e picchiava le bambole". Da qui l'allarme. Intervengono i carabinieri di Binasco e le violenze in asilo cessano.
A Potenza il 22 u.s. per le violenze sui bambini ben tre maestre sono state oggetto di una severissima sanzione disciplinare: udite, udite, una sospensione! Chissà quanto ne saranno rimaste colpite. Ma il Tribunale Amministrativo Regionale della Basilicata è lì pronto a rendere giustizia. Ma a chi? Alle affettuose educatrici o ai malmenati bambini? L'esito, ahimè lo riterrei scontato.
Di norma, nei casi di sospetta violenza, si opera così: si contattato le Forze dell'Ordine, si parla con il PM di turno e se costui è più o meno sensibile e ravvede indizi preoccupanti di violenza autorizza l'installazione di telecamere nei luoghi oggetto delle indagini. E qui accade l'assurdo. Le telecamere "nascoste" registrano ore ed ore di violenze, giorni e giorni di atroci vessazioni: ne cito solo alcune così che le nostre coscienze possano inorridire, agire e reagire con fermezza perché tali orrori abbiano a cessare immediatamente con la conseguente applicazione di severissime sanzioni per gli autori di tali comportamenti. Non certo i soffici ed insignificanti "arresti domiciliari", ma ben più gravi sanzioni meriterebbero "gli educatori" da rieducare in un carcere duro.
La manifesta follia delle "educatrici" che tutti abbiamo emozionalmente patito, almeno una volta, attraverso la TV, si esprime, di solito, con schiaffeggi, pizzichi, strattonamenti, tirate di capelli, testoline sbattute sui banchi, isolamento in sgabuzzini bui, costrizioni ad ingurgitare la refezione con l'orrorosa variante che se essa, semmai, è rovesciata dal piccolo, per cui la premurosa maestra, per tema di un nocivo digiuno, provvede a fargliela ingoiare di nuovo. Accadeva nell'asilo lager "Cip-Ciop" di Pistoia, struttura privata accreditata dal Comune. Arrestate la direttrice e l'insegnante, Laura Scuderi di 41 anni residente a Quarrata (Pistoia) ed Elena Pesce, 28 anni di Pistoia.
Ma non è finita qui. Questo accadeva in Toscana, ma neppure la Lombardia si fa mancare nulla: Massimo Mario Perri, un attento e scrupoloso osservatore di questi fenomeni ci riferisce che "In un asilo nido di Milano i carabinieri arrestano un uomo di 35 anni e una donna di 34, dopo averli colti in flagranza di reato. I due, incensurati, gestivano un asilo nido nel quartiere Bicocca di Milano e sono accusati di violenza e maltrattamenti nei confronti dei bambini. Percosse, lesioni personali e, addirittura, morsi i danni rilevati dall'ospedale sui corpi dei bambini, tutti di età compresa tra i due mesi e i due anni".
È del 29 settembre l'inaudita immagine televisiva di quella maestra/educatrice che s'avventa su di un bimbo disabile strappato dalla sua carrozzina gettato a terra.
Cosa dice la legge
Pare, quindi, sia giunto il tempo di dire "basta", ma non è facile! Nei casi qui in esame si possono configurare due tipologie di reati. Se ne interessa il libro Secondo del Codice Penale al Titolo XI art. 571 e 572 che così dispongono.
Art.571: "Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente (2), con la reclusione fino a sei mesi. Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni".
Art. 572: "chiunque maltratta una persona a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di minore degli anni quattordici. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni".
Ne conseguirebbe che il comune mortale, cittadino di medio/bassa cultura come me, leggendo quanto la legge stabilisce cede ad un impeto di soddisfazione nel pensare che i prodi educatori autori di violenze sui minori (scolari di asilo ed elementari) finalmente vadano spediti quanto prima in prigione per gli anni stabiliti; che possono essere anche 24.
Non è così. Tutto deve accadere dopo un lungo e giusto processo da istruire nel rigoroso rispetto delle innumerevoli e dettagliate norme procedurali; dopo aver assai attentamente vagliato tutte, ma proprio tutte, le cause attenuanti generiche, specifiche, speciose e probabili; dopo aver indagato sulla vita dell'educatore/mostro alla ricerca di una qualche lontana tara familiare giustificatrice delle violenze. Né si devono tralasciare lunghe e meticolose indagini sulla personalità attuale e pregressa del presunto reo: il che avviene rintracciando ed interrogando parenti ed amici dell'inquisito. Largo credito, inoltre, è rivolto all'indagine circa eventuali provocazioni poste in essere dai bimbi (di tre/sei anni), o quelle pur sempre possibili dei premurosi genitori che non educano i piccoli, e semmai anche quelle dei nonni troppo accondiscendenti nel cedere alle pressanti richieste di "lecca lecca" dei tremendi ed irrefrenabili nipotini. E dopo l'eventuale ed improbabile condanna in 1° grado, lette le motivazioni di condanna, i valorosi avvocati s'affanneranno a proporre "appello". E lì ancora prove, testimonianze, filmati, perizie psicologiche, psichiatriche, prove testimoniali del "bidello" che non ha visto, del custode "distratto", del dirigente scolastico che non ha avuto "mai un sospetto" e chi più ne sa più ne inventi.
E quand'anche l'appello fosse sfavorevole al reo si ricorre in Cassazione: la legge delle leggi. Tale alto consesso, attraverso centinaia di sentenze, si è così espresso, negli anni recenti a proposito dei delitti che inondano i nostri asili e distruggono la mente ed il fisico dei nostri figli e nipoti:
Cass. n. 39927/2005
"Per la configurabilità del reato di maltrattamenti l'art. 572 c.p. richiede il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di sottoporre la vittima ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo abituale, instaurando un sistema di sopraffazioni e di vessazioni che avviliscono la sua personalità; ne consegue che deve escludersi che l'intenzione dell'agente di agire esclusivamente per finalità educative sia elemento dirimente per fare rientrare gli abituali atti di violenza posti in essere in danno dei figli minori nella previsione di cui all'art. 571 c.p., in quanto gli atti di violenza devono ritenersi oggettivamente esclusi dalla fattispecie dell'abuso dei mezzi di correzione, dovendo ritenersi tali solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tradiscano l'importante e delicata funzione educativa" [corsivi nostri, NdR].
Cass. n. 8618/1996
"Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 572 c.p. la materialità del fatto deve consistere in una condotta abituale che si estrinsechi con più atti che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o morale del soggetto passivo infliggendogli abitualmente tali sofferenze. Ne consegue che per ritenere raggiunta la prova dell'elemento materiale di tale reato, non possono essere presi in considerazione singoli e sporadici episodi di percosse o lesioni, né un eventuale precedente specifico che può valere soltanto per la valutazione della personalità dell'imputato agli effetti della determinazione della pena da infliggere in concreto" [corsivi nostri, NdR].
Cass. n. 18289/2010
Il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina non ha natura di reato necessariamente abituale, sicché ben può ritenersi integrato da un unico atto espressivo dell'abuso, ovvero da una serie di comportamenti lesivi dell'incolumità fisica e della serenità psichica del minore, che, mantenuti per un periodo di tempo apprezzabile e complessivamente considerati, realizzano l'evento, quale che sia l'intenzione correttiva o disciplinare del soggetto attivo [Fattispecie in cui alcuni bambini affidati ad un'insegnante di scuola materna erano stati in più occasioni oggetto di minacce e percosse, ovvero sottoposti a umilianti dileggi per il loro basso rendimento scolastico, NdR].
Con la conseguenza – delirante è dir poco – che pur di fronte alle prove documentali video ed audio, non sufficit le urla dei bimbi, il tonfo del loro capo sui banchetti, le lacrime copiose che scivolano sui volti, le ciocche di capelli al suolo, il violento fruscio degli schiaffi, le reclusioni in stanzini bui, le minacce di ulteriori castighi. L'imposizione ad ingurgitare il cibo vomitato, il terrore che si materializza con una copiosa incontinenza. No, tutto questo alla nostra "giustizia" non basta! E l'Autorità Giudiziaria, di norma, non ferma, come pure dovrebbe, quei criminali in tuta da "educatori". Pur di fronte all'evidenza essa non dispone l'immediata irruzione delle Forze dell'Ordine i cui uomini (in centinaia costretti a visionare le registrazioni), pur essi padri e nonni, sono afflitti a subire la violenza quotidiana determinata dalla loro impossibilità ad intervenire per far cessare quegli scempi sui piccoli corpi. Il "magistrato" deve raccogliere "le prove" che incastrino con sufficiente evidenza l'azione delittuosa delle maestre educate… al peggio e da rieducare dietro robuste sbarre penitenziarie per numerosi lustri. E nel frattempo che si raccolgano "utili prove" i piccoli scolari subiscono ogni giorno le dolci violenze delle loro affettuose educatrici.
Nell'interessante sito "Brocardi.it, latino per giuristi" è riportata una vicenda molto istruttiva ("Condannata la maestra che aveva schiaffeggiato e strattonato per i capelli il minore") dalla quale emergono, con limpida evidenza le lungaggini che accompagnano la condanna di una maestra "picchiatrice". Ne emerge un quadro di desolate squallore in cui pare che la "giustizia" sia fortemente protesa più alla salvaguardia dell'impunità delle presunte "orche" che all'immediata tutela delle accertate piccole vittime.
La misura della condanna inflitta in 2° grado, in Corte di Appello alla coraggiosa maestra consta solo di un piccolo risarcimento danni in favore dei genitori. E le profonde lacerazioni alla psiche ed al corpo del bimbo chi le risarcisce? Forse i "risarciti" genitori donando al piccolo gelatini e pop corn? Ne conseguirebbe che i reati di abuso verso minori (e non parliamo di abusi sessuali) e le inaudite violenze commesse nell'inaccessibilità delle aule scolastiche, devono soggiacere ad una disciplina punitiva ed immediata ben più severa di quella che oggi è assolutamente inefficace. Non vorremmo più leggere sul Corriere della Sera i giornalisti Galli e Santucci costretti a scrivere – il primo agosto scorso – articoli come questo.
Contro questi mostri vestiti da educatori occorre una severissima legislazione ed una "procedibilità" all'arresto immediata. Lasciar correre giorni e giorni per acquisire "prove regine" da usare poi in giudizio, a tutto scapito della salute psichica e fisica dei nostri figli e nipoti appare come pratica demenziale ed altrettanto delittuosa.
È di tutta evidenza l'insanabile contrasto fra le disposizioni dell'Autorità giudiziaria che di norma ordina indagini (le riprese con microcamere) che si protraggono per settimane e mesi, con l'art. 40 c.2. del C.P. vigente, che invece impone agli appartenenti alla forza pubblica ed agli Ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria il "dovere di impedire i reati"?
Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo
Art. 40 Cpi
Non intervenire con immediatezza pur solo dopo il primo atto di violenza documentatamente compiuto su un bambino concretizza l'ipotesi: Delicta per omissionem commissa. E cosa accadrebbe ad un agente di P.G. se nell'assistere, attraverso le riprese delle microcamere, alle violenze decidesse di far irruzione in un asilo per farle cessare? Sarebbe punibile per aver trasgredito l'ordine del Pm teso ad acquisizione lunghe e reiterate riprese video per meglio documentare i reati commessi?
Chi può mai stabilire quale sia la "giusta" quantità di botte, calci, sevizie e violenze deve subire un inerme bambino prima che intervengano le forze dell'ordine a far cessare tali violenze ? Non vi è una norma che detti regole certe nei casi che qui interessano. Con la conseguenza che l'Autorità giudiziaria di Canicattì può decidere che basti un solo episodio di documentata violenza sui minori per far scattare provvedimenti restrittivi; laddove la Procura di Viareggio può decidere ex edversis, che si debbano acquisire prove certe delle condotte pluricommissive ed inequivocabili della ripetitività dei comportamenti delittuosi, ordinando, di conseguenza di effettuare le riprese (con le microcamere) per lunghi periodi di tempo prima di intervenire per por fine alle violenze. A tutto scapito della sanità fisica e psichica delle piccole vittime: "Summum ius summa iniuria" (Cicerone, De Officiis 1-10)
Cosa fare
Cosa fare? Il cammino è tortuoso, lungo ed oneroso e dovrà tener conto, purtroppo, di quella mala genia di "garantisti" che neppure le lacrime e le botte ai bambini riescono a ricondurre a ragione. Occorrerà mettere mano al Codice di proceduta penale, parte seconda, libro qui "Indagini preminari e udienza peliminare" Titolo VI, Arresto in flagranza e fermo, Art. 380. Arresto obbligatorio in flagranza. La soluzione ruota tutta attorno all'infelice art. 380 che così recita:
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all'arresto di chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni [corsivo nostro, NdR]
E come si fa a cogliere in flagranza un'educatrice violenta che, di certo, non picchia nel giardino dell'asilo i piccoli a lei affidati? Una piccola modifica s'imporrebbe; e le violenze cesserebbero sul nascere.
Ho sognato quest'innovato art. 380: "Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all'arresto di chiunque è colto in flagranza. Costituisce flagranza, al fine della tutela del bene prezioso della salute dell'infanzia, anche una sola immagine, comunque acquisita, che evidenzi violenza su minore …omissis…"
Una profonda rivisitazione delle miriadi di "regole" che presiedono alla disciplina delle complesse attività didattiche ed educative che interessano le scuole della "prima infanzia" implica il coinvolgimento del potere giudiziario (per modificare le norme penali e procedurali) e dei poteri normativi attribuiti alle Regioni ed ai Comuni
Il percorso, extragiudiziario, ove lo si volesse intraprendere subito, non sarà agevole in quanto le normative, oggi vigenti, che presiedono alla "costruzione, gestione e controllo" degli asili nido promanano – per quanto riguarda noi campani – dalla Regione Campania: Legge Regionale N. 48 Del 04-09-1974 che estende la sua efficacia ai Comuni ed ai Consorzi dei Comuni destinatari dei fondi previsti artt. 1 e 2 della Legge 6 dicembre 1971, n. 1044. Sono, quindi, gli Assessori all'Istruzione ed alle Politiche sociali, con la Giunta regionale delle varie regioni italiane, a determinare ad approvare i requisiti delle figure professionali operanti negli asili nido, micro nido e servizi integrativi al nido. Preso atto delle centinaia di episodi di violenza consumatisi negli asili nidi di tutta la penisola, v'è da auspicare che le disposizioni relative al “sistema integrato 0-6 anni” (legge 107/2015, art. 181) provvedano, fra le varie azioni, alla riforma degli asili nido e i servizi per l’infanzia con una serie di cambiamenti relativi alla figura dell’educatore di nido d’infanzia e del coordinatore pedagogico dei servizi per l’infanzia, nel senso di poter individuare (ed isolare) i soggetti potenzialmente pericolosi.
Cosa fare nell'immediato
Cosa fare nell'immediato? Inondare di accorati fax il Presidente della Repubblica, on. Sergio Mattarella (Fax 06.46993125) ed il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, (fax +39 06.68897951) perché ciascuno secondo le proprie prerogative si adoperi per una modifica, in melius, delle vigenti (ed inefficaci) norme procedurali giudiziarie inidonee, oggi, a garantire la sanità fisica e psichica dei piccoli ospiti degli asili laddove emergono, quotidianamente, "mostri" da isolare in perpetuo dal contatto con minori.
Nell'immediato: occorre che i Comuni disponessero l'istallazione, ad horas, in tutti gli asili comunali ed in quelli in "concessione" di telecamere negli spazi frequentati dai bambini (anche, e soprattutto, in prossimità dei servizi igienici con la predisposizione di adeguate cautele per garantire la massima riservatezza dei piccoli). Ed occorre responsabilizzare i genitori perché, in assenza di disposizioni comunali, pretendano, dal concessionario della gestione dell'asilo privato, le medesime predisposizioni di sorveglianza supradescritte.
Finalmente la legge sul controllo degli asili ed altre scuole o istituti e persone che vi lavorano, che giaceva inascoltata dal 1971 (n. 1044, poi 1980) è stata riesumata e modificata per le situazioni attuali e che spesso compaiono sui media.
Fonti:
- Sì alle telecamere negli asili (https://www.change.org/p/si-alle-telecamere-negli-asili)
- Petizione: Telecamere negli asili (https://firmiamo.it/telecamere-negli-asili )
- Telecamere negli asili e test attitudinali per chi si occupa dell'infanzia: 12 proposte di legge in attesa di esame (http://www.repubblica.it/politica/2016/08/01/news/telecamere_negli_asili_12_proposte_di_legge_in_aula_a_settembre-145202412/)
- Telecamere negli asili e test a maestri e educatori: primo sì alla legge (https://www.corriere.it/scuola/medie/16_settembre_30/telecamere-asili-test-maestri-primo-via-libera-legge-9f6f648a-86f2-11e6-b094-d674d9773420.shtml)
- Leggi e Asilo Nido (http://www.progettoasilonido.org/index.php/preparazione-concorso/236-leggi-e-asilo-nido).
- L.R. 16 Giugno 1980, n. 59. Norme sugli asili nido (http://www.agenzia.roma.it/documenti/normative/97.pdf).
Norme per lo sviluppo e la qualificazione di un sistema di servizi per i bambini di età inferiore ai 3 anni e per le loro famiglie (http://www.edscuola.it/archivio/norme/leggi/asili.html)
- Asili nido, arriva il decreto: più posti e maestre laureate (https://www.ilmessaggero.it/primopiano/scuola_e_universita/asili_nido_arriva_decreto_posti_maestre_laureate-1847893.html).
- Milano, maltrattamenti all'asilo: ecco la struttura sequestrata (http://milano.repubblica.it/cronaca/2016/08/01/foto/milano_asilo_maltrattamenti-145173502/1/#1).
Finalmente il parlamento si è svegliato dopo più di otto anni di richieste (la legge è la 1044 del 1971, lasciata nel cassetto fino ad ora) che erano lasciate ad una metodica piuttosto negativa nel senso che le telecamere messe dalla legge richiedevano accertamenti sicuri del  crimine e quindi passava molto tempo ed i bambini erano sempre maltrattati fisicamente e psicologicamente.
Ad ogni nuova realtà che si scopriva, si scriveva di porre rimedi come in altri stati, ma non succedeva nulla; si osservava solo l'applicazione rigida di una legge che andava modificata per non far soffrire ulteriormente i bambini che erano bistrattati. Quello che si chiede ora lo si chiedeva già dai primi casi di abuso sui bambini (anche negli asili nido), abusi e violenze di cui i bambini porteranno sempre i segni maledetti anche da adulti, indipendentemente dagli aiuti di eventuali psicologi del trauma.
Bambini, siate contenti, almeno per quelli che entreranno in quelle strutture, e sperate che quello che hanno promessa avvenga e venga accertato nei modi giusti e ripetuto nei tempi indicati da studiosi del caso.
Ricordatevi, però, che non tutte le strutture erano state segnalate per violenze fisiche e psicologiche; inoltre, in molte di queste ci sono insegnanti di valore che sacrificano la loro vita per educare i bambini per il futuro, nonostante le pressioni di alcuni genitori talvolta ingiustificate o troppo oppressive. Tuttavia, la PREVENZIONE è la prima regola da applicare in tutti i campi: molte volte nei rapporti tra persona richiedente ed operatore non vige quell'umanità che invece ci dovrebbe essere. Questo è un primo passo, come quello di introdurre a tutti i livelli scolastici la norma di imparare a trattare con umanità e rispetto anche i compagni con problemi.
Questo non avviene ancora, sebbene ci siano già provvedimenti contro il bullismo, il cyber-bullismo e altro: questa legge che dovrebbe essere approvata (si spera in breve tempo, data la sua importanza) sarà una vittoria sociale di importanza enorme per la formazione dei futuri adulti.

7) Guida alpina soccorre migrante incinta al confine italo-francese: rischia 5 anni di carcere
Una guida alpina ha cercato di salvare una migrante nigeriana incinta all’ottavo mese e l’ha trasportata in macchina oltre il confine italo-francese. Per questo motivo, l’uomo è stato indagato dalla magistratura francese e ora rischia fino a 5 anni di carcere per violazione delle leggi sull’immigrazione.
CRONACA ITALIANA 19 MARZO 2018  13:55 di Charlotte Matteini
Arrestato per aver soccorso una migrante incinta. Lo scorso 10 marzo, una guida alpina francese ha aiutato una donna di origine nigeriana, incinta all'ottavo mese, incontrata mentre stava cercando di varcare il confine tra Italia e Francia insieme al marito e a due figli piccoli. Per questo motivo, l'uomo è stato indagato dalla magistratura francese per violazione delle leggi sull'immigrazione e ora rischia fino a cinque anni di carcere. Stando a quanto raccontato da un'organizzazione umanitaria, la guida alpina avrebbe incontrato la donna, il marito e i figli di due e quattro anni mentre stavano cercando di varcare il confine italo-francese in mezzo alla neve, nei pressi del passo del Monginevro, a 1900 metri di altitudine, e li avrebbe caricati in auto per raggiungere il più vicino ospedale, alle porte di Briançon, in Francia.
Durante il percorso, però, una pattuglia della Géndarmerie, la polizia francese, ha bloccato l'automobile e ha condotto la guida in caserma. La donna è stata trasportata in ambulanza in ospedale e ha partorito al pronto soccorso, mentre l'uomo si è ritrovato indagato per violazione delle leggi sull'immigrazione.
Un altro fatto umano e degno di profondo rispetto: per aver salvato una madre incinta che era in alta montagna e in difficoltà, una guida alpina rischia da parte della ormai inflessibile Francia una punizione di 5 anni per aver salvato le due vittime, mamma e bambino. Ormai l’umanità segue pari pari il proprio attuale principe. Nulla da meravigliarsi e non finiranno le sceneggiate.
La magistratura non ha più limiti in tal senso. Ma si è poi sicuri che esiste questa legge che vieta di soccorrere le persone? O si tratta di altro? Una persona salva un’altra persona e rischia anni di carcere: non si sa come sia finita questa ennesima trovata circa un’azione a beneficio dell’umanità in pericolo. Certo che stiamo assistendo a interpretazioni di leggi contro e non per l’umanità, interpretazioni che suscitano perplessità anche in chi soccorre chi è in stato di pericolo, specie se (come in questo caso) c’erano di mezzo anche minori e futuri neonati che, grazie alla guida, incurante del pericolo anche per lui, ha soccorso l’umanità che tentava di imboccare la strada per una vita migliore: contro di lui è scattata subito la solita burocrazia, oppure leggi senza scampo, che non valutano il fatto successo e procedono come sono solite procedere, salvo eccezioni che non riguardano la gente comune, ma i soliti esclusi che sono amici degli amici.

8) Potenza, picchiava “quotidianamente” l’alunna disabile: arrestato insegnante di sostegno
Da quanto emerso l’insegnante, quando sostituiva le maestre di ruolo, prendeva a schiaffi anche altri alunni e infliggeva loro punizioni per evitare che riferissero che in classe guardava sul suo pc materiale pornografico.
CRONACA ITALIANA 23 APRILE 2018  15:41 di Susanna Picone
Un insegnante di sostegno è stato arrestato e posto ai domiciliari in un comune della provincia di Potenza. È accusato di maltrattamenti verso fanciulli, reato aggravato e continuato, compiuto in una scuola elementare. L'indagine, coordinata dalla Procura di Potenza, è stata effettuata dai carabinieri del Nucleo investigativo di Potenza che hanno eseguito la misura cautelare emessa dal gip del locale Tribunale, su richiesta della stessa Procura. A far scattare le indagini che hanno portato all’arresto dell’insegnante è stata una denuncia presentata dai genitori di una bambina di nove anni con invalidità motoria e cognitiva. La bambina era caduta in uno stato di prostrazione e piangeva ogni volta che doveva andare a scuola. Con le cautele del caso, gli investigatori hanno ascoltato molti dei bambini della stessa classe e nel corso delle indagini sarebbe emerso che l'insegnante infliggeva sofferenze fisiche e morali alla bambina che gli era stata affidata in quanto lui insegnante di sostegno. L'indagato picchiava "quotidianamente" la bambina che avrebbe dovuto seguire.
Bambini schiaffeggiati e insultati dall'insegnante di sostegno – Sono stati sequestrati anche i quaderni in cui gli alunni descrivevano in modo negativo l’insegnante che a volte sostituiva le maestre di ruolo e insultava gli alunni. Nei loro confronti, da quanto emerso, usava termini come “maiali” o “porci” oppure, sempre secondo l'accusa, li colpiva con schiaffi o li spintonava. Con l’aiuto di una esperta in psicologia infantile è stata ascoltata anche la giovane vittima e dal suo racconto è emerso che la piccola veniva insultata e malmenata, anche per futili motivi, strattonata per i capelli o colpita con schiaffi e pizzichi. All'indagato viene anche contestato di aver minacciato l'intera classe di non dire nulla a nessuno quando i bambini sbirciavano sul pc dell'insegnante durante le ore di lezione su cui lui avrebbe guardato materiale pornografico.
Susanna Picone
Non ci si illuda! Quello che emerge ogni tanto lo si deve ai minori, futuro dell’umanità, che vanno a scuola per imparare e non per assistere a scene pornografiche degli adulti un po’ (si fa per dire) psicopatici. Gli adulti indifferenti circa i minori che dovrebbero istruire costituiscono la punta dell’iceberg: sotto, nel mare squallido, ci sono 6/7 di desolante melma sempre fomentata. Questa melma invece che diminuire cresce e ci sporca tutta la coscienza. Tuttavia, non siamo dei perdenti, perché voi bambini e giovani ci fate vergognare di questo quando potete dimostrarlo e lo dimostrate. Grazie di quanto ci insegnate e noi non recepiamo.

9) Mondo in rivolta, proteste in Nord Corea: scontri tra polizia e manifestanti
Sembra che il mondo si stia ribellando in contemporanea ad i suoi dittatori. Nei giorni scorsi anche in Corea del Nord ci sono state delle manifestazioni di protesta represse violentemente dal regime.
MEDIO ORIENTEAFRICA 24 FEBBRAIO 2011  17:26 di Cristian Basile
Dopo il periodo di alta tensione tra le due Coree, il Governo nordcoreano dovrà affrontare anche la prime proteste intestine. In un evento del tutto inedito per la Corea del Nord, tre città del paese sono state il teatro delle proteste di centinaia di persone che chiedono cibo ed energia elettrica tanto da portare il regime comunista ad alzare il livello di allerta militare di fronte alla possibilità che il vento di libertà e cambiamento partito dalla Tunisia arrivi nel paese asiatico. La manifestazioni sono inziate il 14 febbraio, due giorni dopo del compleanno del presidente Kim Jong-iI ed hanno avuto come epicentro le città di Jongju, Yonchon e Sonchos lungo la frontiera con la Cina, nella provincia di Pyongan del Nord.
Le proteste hanno visto all'inizio la partecipazione di pochissime persone alle quali, in breve tempo, se ne sono aggiunte spontaneamente numerose altre. Lo dimostrerebbe l'uso di megafoni improvvisati con i quali i manifestanti coraggiosi hanno urlato le loro richieste: "Non possiamo vivere così, dateci la luce, dateci il riso!". Pare che l'esasperazione sia nata dopo che il regime, per festeggiare il compleanno del presidente, ha abbassato ulteriormente la capacità elettrica della regione.
Inoltre nonostante la censura delle telcomunicazioni, le immagini delle rivolte in Egitto continuano a circolare a Pyongyang attraverso canali televisivi cinesi. "Credo che il loro governo conosca la situazione e la stia seguendo da vicino. Da questo punto di vista, ovviamente, farà di tutto mantenere il paese lontano da qualsiasi influenza negativa" ha dichiarato il ministro per l'unificazione della Corea del Sud.
La polizia ha represso immediatamente le proteste e negli scontri sarebbero morti alcuni manifestanti. Inoltre il dipartimento per la Sicurezza di Stato nordcoreano ha cercato di individuare i responsabili delle manifestazioni, non riuscendovi però grazie all'inusuale silenzio dei cittadini. Secondo il giornale online DailyNK, quotidiano online di dissidenti del Nord scappati al Sud, la coltre di silenzio creata dai cittadini è qualcosa di assolutamente nuovo: "quando, altre volte, si sono verificati eventi del genere, la gente non esitava a denunciare i propri vicini alle autorità. Adesso, invece, le persone si coprono a vicenda". A differenza dei paesi arabi però la Corea del Nord ha un accesso molto limitato ad internet e non ha nessuna esperienza nelle proteste organizzate. La speranza è che eventuali proteste di massa non si trasformino in un bagno di sangue come sta accadendo in Libia.
Cristian Basile
10) Siria, Usa chiedono riunione dʼemergenza Consiglio Sicurezza Onu (9 aprile 2018)
Washington, insieme ad altri otto Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell'Onu (Gran Bretagna, Francia, Polonia, Olanda, Svezia, Kuwait, Peru e Costa d'Avorio), ha chiesto una riunione di emergenza dei Quindici sull'attacco chimico in Siria. Lo ha confermato la missione britannica al Palazzo di Vetro. La riunione del Consiglio di Sicurezza Onu si dovrebbe tenere lunedì.
(Continua su: http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/siria-usa-chiedono-riunione-d-emergenza-consiglio-sicurezza-onu_3133007-201802a.shtml).
Paesi in rivolta e civili che muoiono perché attraversano una strada, vanno a comperare il cibo che non c’è o è in vendita a prezzi da paura, si rinchiudono in locali che sono bombardati con bombe di diverso tipo per fare più morti o feriti. Se qualche nazione arriva in aiuto non lo fa per spirito di umanità ma per interessi che non si vedono subito o si fa finta di non vedere. I dittatori comandano ogni tipo di soppressione: di qui la diffusione anche di notizie false, come quelle sui gas usati per fare più morti asfissiati… Di fronte alle evidenze di fungo mucoso sulla bocca degli asfissiati, adulti e bambini, si passa oltre; si grida che il gas (sarin o cloro) non è il loro ma dei nemici contro cui combattono per la libertà (una libertà intrisa di sangue degli altri) in nome di interessi che si vuole nascondere per lavarsi il vestito di morte che ci si trascina dietro ormai da sei anni e che non finirà mai per gli interessati… Parliamo di interessi che portano a vendere a chiunque voglia comperare. Non lontani da questo mercato sono anche gli italiani, che non sono poi innocenti come vorrebbero mostrare coi loro discorsi, molte volte fatti di nulla.

11) Migrante incinta trascinata via dal treno dalla polizia francese: il video choc su Facebook
Un squadra della polizia francese trascina fuori da un treno proveniente da Ventimiglia una migrante incinta, prendendola per braccia e gambe dopo un controllo tra grida e proteste. Le violenze, riprese a febbraio da tre studenti, sono state segnalate alle autorità.
EUROPA 5 APRILE 2018  17:01 di Biagio Chiariello
Una migrante, incinta, sarebbe stata trascinata di forza fuori da un treno dalla polizia francese. I fatti, secondo quanto si legge sul giornale Nice Matin,  sono avvenuti circa due mesi fa alla stazione Garavan a Mentone, in Francia. La scena sarebbe stata ripresa da tre studenti. La donna viaggiava insieme ai due figli e al marito, che si sarebbe rifiutato di esibire i documenti. A quel punto la situazione sarebbe degenerata. La migrante, come si vede nelle immagini caricate su Facebook, viene presa dagli agenti per le braccia e per le gambe dopo un controllo che avviene tra grida e proteste. “Non toccare mia moglie, è incinta”, dice l’uomo. “Dammi il tuo bambino”, risponde il poliziotto, mentre i passeggeri sono sconvolti. La donna avrebbe poi accusato un malore ed è stata quindi trascinata sulla banchina della stazione.
Stando alle ricostruzioni, i ragazzi che hanno girato il filmato stavano rientrando a Cannes dopo aver realizzato un servizio a Ventimiglia proprio sulla situazione dei migranti al confine italo-francese. Anche gli stessi giovani sono stati controllati dalla polizia. Il video era stato poi inviato all’Osservatorio nazionale sulle violenze della polizia. Il 27 marzo è quindi finito sui social network, scatenando polemiche e indignazione. La prefettura del dipartimento Alpes-Maritimes, contattata da Nice-Matin, ha replicato: “Se ci sono delle violenze in questo video, non sono state commesse dalla polizia. E’ la reazione fuori misura dei soggetti fermati che ha costretto le forze dell’ordine a un uso proporzionato della forza. Ma non c’è stata violazione dei diritti delle persone”. La prefettura inoltre, dichiara che, una volta sulla banchina, una delle donne “ha lanciato un bambino sui binari e le forze dell’ordine sono intervenute per recuperarlo”.
Biagio Chiariello
Non si commenta una evidenza così palese: la dittatura è anche di chi si mostra non colpevole di interventi da nazisti, facendo poi silenzio e fermandosi dopo la violenza effettuata.

12) Il paradosso dello Yemen: chi finanzia gli aiuti umanitari è chi bombarda donne e bambini (VIDEO)
Giovedì, 5 Aprile 2018 – Greenreport - di Umberto Mazzantini
All’Onu 2 miliardi di dollari di aiuti, un miliardo viene da Arabia Saudita e Emirati arabi uniti
Il 27 marzo il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha espresso «La sua profonda gratitudine al Principe ereditario e al Regno dell’Arabia saudita per aver rispettato oggi la promessa generosa fatta con gli Emirati arabi uniti a gennaio di versare 930 milioni di dollari al Fondo umanitario per lo Yemen».
Si tratta di circa un terzo dei 2,96 miliardi di dollari necessari per attuare il Piano di intervento umanitario per lo Yemen del 2018.  Tutto bene quindi? Non proprio, visto che Arabia saudita ed Emirati uniti sono i due Paesi che guidano la coalizione arabo-sunnita – appoggiata e armata dagli occidentali (Italia compresa) – che bombarda da anni lo Yemen dopo che gli sciiti huthi si sono impadroniti del potere a Sana’ a. Non proprio visto che truppe e mercenari sauditi ed emiratini – che spesso appoggiano fazioni opposte – hanno invaso e occupato la metà meridionale dello Yemen e hanno bloccato i porti del nord.
Lo Yemen è in guerra per più di tre anni. Il conflitto è in corso tra una coalizione internazionale sunnita a guida saudita  che sostiene l’ex presidente Abdrabbuh Mansur Hadi (ma gli Emitrati arabi uniti sostengono gli indipendentisti sud yemeniti che si sono impadroniti di Aden) e le milizie Houthi sciite e le unità alleate delle forze armate yemenite che sono appoggiate dall’Iran e che hanno preso il controllo della capitale, Sana’a e del nord del Paese. Al sud è presente anche Al Qaeda
Insomma i «Più di 22 milioni di persone« che nello Yemen hanno bisogno di assistenza», Dei quali «2 milioni di persone profughi all’interno del Paese a causa del conflitto in corso», citati dall’Onu nello stesso comunicato in cui ringrazia sauditi ed emiratini, sono vittime della guerra scatenata da Arabia saudita ed Emirati arabi uniti.  E l’imbarazzo dell’Onu è palpabile, visto che nei suoi recenti comunicati sulla situazione nello Yemen, pur parlando della necessità di una soluzione politica del conflitto, non citano mai il nome di chi bombarda lo Yemen causando il disastro umanitario che si vuole affrontare con la richiesta di finanziamenti.
Come sottolinea l’agenzia stampa umanitaria Irin, «L’Arabia Saudita e gli Emirati arabi uniti stanno raccogliendo un terzo dell’ammontare di 2,96 miliardi di dollari di quest’anno per quella che l’Onu ha definito “la peggiore crisi umanitaria del mondo”. Ma gli analisti di conflitti e i gruppi per i diritti umani dicono che i bisogni dello Yemen non sarebbero così intensi se non ci fosse per una guerra che le due nazioni hanno aiutato a iniziare, e per come la combattono».
Tirana Hassan, direttrice crisi di Amnesty International, ha definito «piuttosto contorto il fatto che gran parte del piano di finanziamento delle Nazioni Unite sarà pagato da coloro che hanno avuto un ruolo significativo nel creare e prolungare la crisi umanitaria. L’Arabia Saudita e i suoi alleati, ha aggiunto, dovrebbero andare ben oltre l’apertura dei loro libretti degli assegni riducendo le vittime civili e togliendo le restrizioni umanitarie».
Il 3 aprile a Ginevra si è  tenuta la Conferenza per lo Yemen e gli Stati membri dell’Onu hanno promesso più di 2 miliardi di dollari, Guterres anche in quell’occasione si è tenuto sul vago: «Abbiamo bisogno di un serio processo politico per portare a una soluzione politica perché non c’è mai stata una soluzione umanitaria per nessuna crisi umanitaria. La soluzione è sempre stata politica e nello Yemen ciò di cui abbiamo bisogno è una soluzione politica». Il segretario generale dell’Onu ha però ammesso che nello Yemen «la situazione è catastrofica», visto che ogni 10 minuti, un bambino sotto i 5  anni muore per cause prevenibili, e ha aggiunto che «Mentre le risorse umanitarie sono molto importanti, non sono sufficienti. E’ essenziale che raggiungano le persone bisognose. E per questo, abbiamo bisogno di un accesso illimitato nello Yemen; abbiamo bisogno di un accesso illimitato ovunque all’interno [del paese]». Una richiesta avanzata anche dal capo dell’ UN aid Mark Lowcock: «Abbiamo bisogno di un migliore accesso in tutto il Paese. Vogliamo vedere riaprire l’aeroporto di Sana’a ai voli commerciali, in particolare per casi umanitari».
Il problema è che l’accesso ai porti dello Yemen e alle aree più colpite da carestia e colera è impedito dalla coalizione sunnita a guida saudita e che l’aeroporto di Sana’a è stato bombardato e reso inutilizzabile dagli aerei sauditi.
Comunque, al summit di Ginevra, co-presieduto dall’Onu e dai governi di Svezia e Svizzera 40 Paesi e   organizzazioni si sono impegnati a sviluppare iniziaive umanitarie nelloYemen nel 2018 e i quasi 2 miliardi di dollari raccolti sono quasi il doppio del 2017.
Ma le agenzie umanitarie, comprese quelle dell’Onu, avvertono che fino a che non cesserà la guerra scatenata dai sauditi la popolazione non combattente continuerà a subire spostamenti forzati e ripetuti di famiglie, massiccia insicurezza alimentare e il crollo dei servizi essenziali, tra cui sanità e istruzione.
In quello che era già uno dei Paesi più poveri e vulnerabili del mondo prima che iniziasse la guerra, nel 2017 c’è stato il peggior focolaio di colera al mondo che ha colpito un milione di yemeniti, e ora è in aumento  la difterite, Guterres ha detto che dei 22,2 milioni di persone – circa il 75% della popolazione yemenita –  che hamno bisogno immediato di assistenza umanitaria, per ben 8,4 milioni non si sa come riusciranno ad ottenere cibo. E il costo dei generi alimentari nello Yemen è aumentato del 25% in un Paese dove ormai anche le risorse petrolifere sono inaccessibili e/o non esportabili per il blocco dei porti attuato dalla coalizione arabo-sunnita.che impedisce anche l’arrivo di aiuti nel nord del Paese.
A margine del summit dei donatori di Ginevra, la vicepremier svedese, Isabella Lovin, ha detto ai giornalisti che «Ogni giorno di guerra in più è un giorno di troppo per gli yemeniti comuni. C’è il frischio di un’intera generazione di bambini senza assistenza sanitaria e istruzione, mentre le notizie di bambini reclutati da gruppi armati sono profondamente inquietanti».
Alla fine, sollecitato dai giornalisti, Guterres ha detto che il suo inviato speciale per lo Yemen,  Martin Griffiths, «E’ stato”molto incoraggiato dai suoi recenti colloqui con i rappresentanti delle parti in guerra a Sana’a e Riyadh. L’inviato speciale dovrebbe andare anche negli Emirati Arabi Uniti, Oman e Aden per dei  colloqui. Questo ha portato a prospettive positive per un dialogo yemenita inclusivo, L’opportunità per la pace dovrebbe essere colta […] e non mancata».
Ma James Munn, direttore della ONG Norwegian Refugee Council, è molto meno fiducioso sull’atteggiamento saudita e di altri Paesi: «Le conferenze dei donatori sono raramente eventi decisionali. Sono esercizi di protocollo nei quali  i donatori leggono le dichiarazioni preparate».
Un funzionario dell’Onu ha detto a Irin che la donazione dell’Arabia saudita e degli Emirati arabi uniti  «ha obiettivi di buona reputazione» e ha aggiunto che «Non è la prima volta che le parti in conflitto sono anche donatrici di aiuti o “colpevoli” di influenzare il processo decisionale umanitario delle donazioni. Guardate gli Stati Uniti in Iraq o, ad esempio, il sostegno tedesco all’agenzia di soccorso palestinese dell’Onu Unrwa, che potrebbe essere collegato all’Olocausto alle origini del conflitto israelo-palestinese».
Dopo la mega donazione, la coalizione guidata dai sauditi si aspetta la riconoscenza dell’Onu (subito espressa), anche se probabilmente sorvolerà sulle richieste dell’Onu di rispettare la legge internazionale e di abolire le restrizioni sulle importazioni di merci.  Per Munn, la donazione di sauditi ed emiratini «Non è sgradita, ma dovrebbe essere abbinata ai colloqui di pace, a meno restrizioni ai soccorritori e a un riconoscimento del danno collaterale che colpisce oltre 22 milioni di persone. La mia agenzia, per principio, non prenderebbe direttamente i soldi sauditi».
Per alcuni, i finanziamenti sauditi potrebbero indicare un cambio di strategia. Irin sottolinea che «Il Regno ha compiuto sforzi significativi per rafforzare la propria capacità di aiuto, istituendo il parastatale King Salman Humanitarian Aid and Relief Center. Di recente ha anche avviato un piano parallelo di aiuti allo Yemen, progettato per placare le preoccupazioni delle Nazioni Unite e della Croce Rossa sui danni ai civili».
Anche secondo Munn e altri analisti «Il nuovo eclatante annuncio dell’Arabia Saudita sembra indicare un cambiamento, suggerendo che il Paese sta cercando un’opportunità per mostrare il suo lato compassionevole».
A chi teme che gli aiuti sauditi arriveranno solo nelle zone controllate dal governo fantoccio Hadi  il governo saudita risponde che  la donazione all’Onu  dimostra che «Il nostro approccio per affrontare le sfide umanitarie nello Yemen è olistico. I finanziamenti dell’Arabia Saudita saranno utilizzati in modo imparziale: il nostro aiuto è per tutti gli yemeniti in tutte le regioni dello Yemen ed è strettamente basato sui bisogni umanitari». Ma poi, quando Irin ha chiesto se il governo di Ryhad è disposto ad alleviare il blocco commerciale nel porto controllato dagli Houthi, la risposta è stata che «I ribelli stanno raccogliendo entrate dlla tassazione, dall’estorsione e dalla creazione di un mercato nero per il carburante».
La Hassan di Amnesty International sottolinea che per l’Arabia saudita  «La donazione di quest’anno non deve essere un pass gratuito quando si tratta di dover endere conto delle gravi violazioni commesse nello Yemen» e conclude ricordando che è stata l’Arabia saudita a mettere lo Yemen «Su un pendio incredibilmente pericoloso e scivoloso. L’Arabia Saudita utilizza i sui muscoli finanziari per farsi rimuovere da un elenco di stati dell’Onu che usano bambini soldato del 2016».
Come sempre il dubbio non espresso è che chi finanzia le guerre vuole guadagnare su tutto, anche sugli aiuti umanitari: prima con le armi, poi col pane. Staremo a vedere con cosa altro vogliono guadagnare, ma non dovremo aspettare molto. Hanno in fila cosa chiedere l’uno dopo l’altro. Pazienza.

13) Migranti, premier israeliano Netanyahu: “Li manderemo in Italia”. Farnesina: “Nessun accordo” Poi tutto ritorno indietro, ma intanto se aveva le gambe ci trovavamo in una altra situazione da paura.
Premier israeliano Netanyahu annulla accordo con l’Onu sull’espulsione dei migranti
Israele aveva annunciato un piano per distribuire 16mila migranti africani in Canada, Germania e Italia. Ma il ministero degli Esteri italiano nega: “Non c’è alcun accordo con l’Italia nell’ambito del patto bilaterale tra Israele e l’Unhcr per la ricollocazione, in cinque anni, dei migranti che vanno in Israele dall’Africa”.
MEDIO ORIENTE 2 APRILE 2018  21:02 di Annalisa Cangemi
È giallo per l'annuncio fatto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, dopo che il suo governo ha raggiunto un'intesa con l'Alto Commissariato Onu. Secondo quando annunciato da Israele, circa 16.250 migranti eritrei e sudanesi, sarebbero stati suddivisi tra Canada, Germania e Italia, 6mila solo nel primo anno.
Secondo questi patti oltre 16 mila migranti africani sarebbero stati inoltrati verso Paesi occidentali, mentre gli altri sarebbero rimasti in Israele in qualità di residenti permanenti. Avrebbero ottenuto visti di lavoro per essere destinati in località dove avrebbero potuto rendersi utili: "Saremo noi a decidere dove essi vivranno e dove essi lavoreranno" aveva precisato, nella stessa conferenza stampa, il ministro degli interni Arie Deri. L'intenzione di Israele era quindi quella di non andare avanti con gli espatri forzati dei profughi verso Paesi come Uganda o Ruanda. Con il "supporto dei Paesi riceventi", l'Unhcr aveva manifestato l'intenzione di collaborare per facilitare la partenza verso altri Paesi considerati più sicuri. In particolare, l'agenzia Onu e lo Stato ebraico avevano parlato di programmi per incoraggiare i richiedenti asilo eritrei e sudanesi a lasciare i quartieri a sud di Tel Aviv dove per la maggior parte si sono concentrati negli ultimi anni. In programma c'erano anche corsi di formazione professionale nei settori dell'energia solare e dell'agricoltura.
Ma oggi Netanyahu fa marcia indietro sul ricollocamento in Paesi occidentali di migliaia di migranti africani che vivono in Israele. In nottata il premier ha scritto su Facebook di essere sensibile alle reazioni critiche mosse dagli abitanti dei rioni poveri di Tel Aviv dove i migranti sono concentrati: "Intanto sospendo la realizzazione dell'accordo. Ho ascoltato con attenzione i molti commenti, ho riesaminato i vantaggi e le mancanze e ho deciso di annullare l'accordo". Il premier, insieme al ministro degli interni Arie Deri, si è recato oggi in un rione di Tel Aviv per incontrare rappresentanti degli abitanti che invocano l'espulsione massiccia e immediata dei migranti africani.
La Farnesina ieri aveva smentito l'esistenza di un'intesa con l'Italia: "Non c'è alcun accordo con l'Italia nell'ambito del patto bilaterale tra Israele e l'Unhcr per la ricollocazione, in cinque anni, dei migranti che vanno in Israele dall'Africa e che Israele si è impegnata a non respingere". Poi è lo stesso portavoce di Netanyahu a spiegare "L'Italia era solo un esempio di un paese occidentale: il primo ministro non intendeva in modo specifico l'Italia".
È intervenuta per chiarire quello che appare come un equivoco anche Carlotta Sami, portavoce dell'Unhcr: "Solamente previo accordo con il governo italiano potrebbero arrivare in Italia alcuni rifugiati provenienti da Israele solo a titolo di ricongiungimento familiare con parenti che già vivono qui, si tratta in sostanza di pochissimi e specifici casi".
Dure le reazioni da parte dei politici italiani. "Sempre convinti delle ragioni di Israele, anche in questi giorni tragici, leggiamo sbigottiti di intese Israele-Onu per mandare profughi africani in paesi occidentali, tra cui l'Italia. Bisogna opporsi e anzi chiedere che altri semmai prendano profughi approdati in Italia. Il Parlamento dica no subito", ha detto Maurizio Gasparri di FI. Dissenso espresso anche dal senatore leghista Roberto Calderoli: "Non se ne parla neppure di prenderci una quota dei 16mila immigrati clandestini africani che Israele sta per espellere dal suo territorio. Ma ci siamo dimenticati che l'Italia ha già 600mila clandestini da espellere? Ma chi è ancora al Governo, seppur come dimissionario, non ha ancora realizzato che ci sono state le elezioni e che quelli che hanno fatto arrivare i 600mila clandestini sono stati sconfitti e mandati a casa dai cittadini? Appena si insedierà il nuovo Governo rimanderà a casa loro, rimpatriandoli, tutti i clandestini, altro che accogliere quelli espulsi da Israele", conclude.
Cauto invece il M5S: "In molti, tra i parlamentari e i vertici, a taccuini chiusi hanno spiegato che si tratta di un annuncio ondivago e poco chiaro, che peraltro la Farnesina ha già smentito. Quel che è certo è che la politica migratoria dell'Italia la decide l'Italia, e dunque il prossimo governo italiano, e non l'Unhcr, che svolge altre funzioni nobili e meritorie".
Annalisa Cangemi
Contrordine compagni! Quanto emanato dall’Onu contiene un’affermazione, per ora, ma solo desiderata! Nessun altro trasferimento nei Paesi indicati. Aspettiamo le lune calanti e crescenti di chi si pronuncia sul palcoscenico mondiale quando apre bocca. Aspettiamo di che umore sono e di come si sono alzati al mattino. Ormai è solo quella la modalità di pensiero. Il dubbio è se il cervello si è spostato più in basso nell’intestino e nel suo viaggio di ritorno… Ma anche se le soluzioni che propongono sono carta straccia, non si accorgono di non essere più all’altezza di dare suggerimenti.
- L'esercito dei 2mila stranieri che l'Onu ha rifilato all'Italia
Sono i profughi giunti tra il 2015 e il 2017 per accordi con l'Unhcr. E entrati direttamente nel sistema di protezione
Antonella Aldrighetti - Mer, 04/04/2018 - 22:07
Fanno e meno notizia gli immigrati che arrivano in Italia già con i documenti in regola, passando formalmente la dogana con tanto di bollo della polizia di frontiera che li agevola nel transito, senza alcun controllo o di respingimento.
Scendono dai voli cosiddetti umanitari ed entrano legalmente perché accompagnati dai cooperatori dell'Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati, l'Unhcr. Arrivano dai campi profughi e dagli accampamenti situati negli agglomerati urbani del Corno d'Africa e da ancora più lontano con l'aiuto di realtà in relazione di cooperazione umanitaria con l'ambasciata eritrea in Italia. Tra il 2015 e il 2017, stando ai dati ufficiali, i cooperanti dell'Onu ne hanno traghettati in Italia 2.394. Non proprio una goccia nel mare.
Di questi 398 sono arrivati dall'Afghanistan, 150 dall'Iraq, 126 dall'Iran, 528 dal Pakistan, 879 dalla Nigeria e addirittura 20 dall'Albania oltre a 293 eritrei direttamente dalla Libia. La maggior parte di costoro non passa per i centri d'accoglienza straordinari tanto meno nei centri per i richiedenti asilo, ma usufruisce di qualche privilegio in più e va direttamente negli Sprar dove nel frattempo riceve le verifiche sulla propria identità e la conferma sul diritto d'asilo successivo alla protezione internazionale. Il costo per ogni rifugiato o richiedente asilo nello Sprar è stimato attorno ai 1.100 euro al mese. Quanto al processo di riconoscimento e inserimento il processo cui sono sottoposti non è troppo dissimile a quello dei minori eritrei non accompagnati. Nel 2016 proprio gli eritrei rappresentavano la prima nazionalità tra i minorenni soli giunti in Italia dopo aver attraversato la Libia: circa 3.800 su un totale di oltre 25.800. Se nel 2015 i minori erano solo l'8% tra gli eritrei arrivati in Italia, nel 2016 il rapporto è passato a quasi uno su cinque (il 18%). I mediatori culturali e gli interpreti ingaggiati dalle prefetture li possono individuare più facilmente degli altri perché parlano quasi esclusivamente il tigrino e in rari casi un arabo elementare.ùQuanto invece ai costi impegnati per l'accoglienza di costoro la cifra è tutt'altro che di secondo piano. La spesa per un minore non accompagnato è superiore a quello di un adulto: 48 euro ciascuno al giorno. Nel 2016 sono stati spesi per i soli giovani eritrei (ovvero i 3.800 sbarcati) oltre 62,4 milioni di euro; per gli adulti, 4.650 in tutto, ne sono stati spesi altri 59,4 milioni. Nel 2017 anche gli arrivi di eritrei li potremmo considerare in calo: a oggi ne possiamo contare 6.386 di cui 2.651 in attesa di ricevere il titolo di rifugiato. Vale a dire che i costi stimati per l'anno corrente potrebbero stare entro i 93 milioni. Certo a patto che la migrazione non riprenda a ritmi serrati come negli ultimi due anni. Tuttavia proprio in questi giorni i dati divulgati dal Viminale riportano altri 366 arrivi. Circa 120 in più rispetto allo stesso periodo del 2017. E sono all'opera anche le prefetture che hanno ingaggiato prenderanno servizio a breve altri 250 funzionari per valutare nelle diverse commissioni territoriali la validità delle richieste di asilo e di protezione. Vale a dire che l'accoglienza e la cooperazione non si ferma. Ultima conferma il bando pubblico per selezionare il nuovo direttore dell'Aics (agenzia per la cooperazione in seno alla Farnesina) dopo le dimissioni di Laura Frigenti, l'indomani del voto politico.
(Continua suhttp://www.ilgiornale.it/news/politica/lesercito-dei-2mila-stranieri-che-lonu-ha-rifilato-allitalia-1511770.html).

14) Massacro a Gaza, Leu: “Silenzio Europa e Onu è vergognoso”
ROMA – Da Agenzia Dire (www.dire.it) 31/03 /02018
ROMA – “Il silenzio dell’Unione europea e del Consiglio di sicurezza dell’Onu sull’uccisione a Gaza di almeno 15 manifestanti palestinesi da parte dell’esercito palestinese è semplicemente vergognoso”. Lo scrive su Facebook Alfredo D’Attorre di Liberi e Uguali.
“Non c’è purtroppo molto da sperare - prosegue D’Attorre - in una qualche iniziativa del governo italiano dimissionario. C’è da augurarsi che il Parlamento appena rieletto riesca a esprimere un governo in grado di riaffermare il diritto del popolo palestinese ad avere uno Stato e di sostenere senza tremori questa linea a livello internazionale”.
“Anche questa sarebbe una risposta alla richiesta di cambiamento e di chiarezza che gli elettori hanno espresso il 4 marzo”, conclude.
FRATOIANNI: MASSACRO A GAZA, GOVERNO CONVOCHI AMBASCIATORE ISRAELE
“16 morti e migliaia di feriti nella striscia di Gaza: sono questi i numeri del vero e proprio massacro compiuto ieri come risposta alla manifestazione dei palestinesi che chiedono il diritto alla propria terra e ad avere uno Stato. La risposta dell’esercito e del governo israeliano è stata violenta, sproporzionata, senza giustificazione. Una situazione intollerabile che va avanti da anni, nel silenzio complice della comunità internazionale“. Lo afferma il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni di Liberi e Uguali.
“Sarebbe il caso - prosegue l’esponente di Leu - che l’Italia convocasse l’ambasciatore israeliano per chiedere conto delle violenze di queste ore, visto che per molto meno e senza alcun accertamento di responsabilità nei giorni scorsi sono stati espulsi diplomatici di un altro Paese”. “Ma non ci facciamo illusioni - conclude Fratoianni - se pensiamo che il governo del nostro Paese non ha ancora voluto riconoscere lo Stato di Palestina, come chiediamo da anni”.
Da Agenzia Dire www.dire.it (http://www.dire.it/31-03-2018/188556-massacro-a-gaza-leu-silenzio-europa-e-onu-e-vergognoso/).
Stiamo a vedere… Leggendo bene sembra impossibile che ci siano16 morti e migliaia di feriti: che proporzione c’è? Inaudita e sproporzionata! Ma il polpettone da fare ingoiare al solito popolo bue è così. Ingoiate e tacete, e Israele lasciatela in pace. La solita Italietta non si muove, come in altre cosette, per esempio a Bardonecchia, con l’entrata non prevista di venti poliziotti francesi in una dogana italiana per far far fare la pipì ad un extracomunitario. Grandi grida, sempre dopo, e poi minacce roventi che tra un po’ ci si chiederà cosa è successo… e la solita cena con pacche sulle spalle invece che altrove risolverà tutto. Poveri italiani, legati ancora a parole ai sacri confini sbriciolati da altri paesi, almeno in questi casi. Ma i francesi si prendono sempre quel che vogliono e non ci vogliono un gran bene. Ma silenzio, e chi parla subisce: certo non è premiato.

15) Siria – Trovata fossa comune con 30 corpi
17.04.2018 Lo rivela la TV di stato siriana citando fonti militari
Una fossa comune con 30 cadaveri è stata scoperta oggi a Duma a est di Damasco, secondo quanto afferma la tv di Stato siriana citando fonti militari, nello stesso sobborgo teatro il 7 aprile scorso di un presunto attacco chimico attribuito al governo di Damasco.
(Continua su: http://www.gazzettadelsud.it/news/home/287724/trovata-fossa-comune-con-30-corpi.html).
Non sarà certo l’unica fossa comune che si trova: scavate e ne emergeranno altre, se chi c’è in quelle fosse non è finito vivo in mare come successe in Sud America qualche annetto fa.

it.euronews.com › Notizie › Mondo - Ultimo aggiornamento: 13/04/2018
Mentre la tensione sembra allentarsi attorno all'ipotesi di un intervento militare in Siria, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per fare il punto della situazione. Secondo il segretario generale Onu, Antonio Gutierres, il teatro mediorientale è ormai "così caotico da essere diventato una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali. La regione - ha detto Gutierres - è di fronte a un autentico nodo gordiano".
"Le crescenti tensioni - ha proseguito il Segretario - e l'incapacità di giungere a un compromesso nella creazione di un meccanismo per l'individuazione di responsabilità minacciano di portarci a una vera escalation militare. Ho ribadito le mie profonde preoccupazioni circa i rischi legati all'empasse corrente e ho rimarcato il bisogno di evitare che la situazione vada fuori controllo".
A ribadire la cautela sull'eventualità di un attacco in Siria è stata la stessa ambasciatrice statunistense Nikki Haley: "Il nostro presidente - ha dichiarato - non ha ancora preso una decisione sulle possibii azioni in Siria, ma se gli Stati Uniti e i loro alleati dovessero decidere di muoversi, lo faranno in difesa dei principi sui quali tutti noi conveniamo. Sarà in difesa del fondamento giuridico internazionale da cui tutte le nazioni traggono beneficio. Gli Stati Uniti credono che Assad abbia usato armi chimiche almeno 50 volte nel corso della guerra siriana. Secondo altre stime sarebbe arrivato a usarle addirittura 200 volte".
Continuiamo a osservare pericolosi preparativi militari per un atto di forza illegale contro uno stato sovrano - ha ribattutto l'ambasciatore russo Vasily Nebenzya - in quella che finirebbe per costituire una violazione delle leggi internazionali. Non solo l'uso della forza, ma anche la sua minaccia viene sventolata sul naso delle Nazioni Unite e questo è esattamente ciò che abbiamo visto nella recente retorica e nelle azioni di Washington e di alcuni dei suoi alleati".
L'attacco chimico di Douma - che il governo russo continua a definire una montatura ad opera di governi ostili - è avvenuto lo scorso 7 aprile. Secondo le fonti mediche presenti in città, sarebbero 100 i morti e mille i feriti provocati dall'episodio.
(Continua su: http://it.euronews.com/2018/04/13/siria-accuse-incrociate-volano-al-consiglio-di-sicurezza-onu).

17) Migranti sempre in pericolo, gli stati e le loro frontiere da difendere.
- Migrante incinta respinta dalla polizia a Bardonecchia muore all’ospedale di Torino
La donna, una nigeriana di 31 anni, era affetta da un grave linfoma: era stata respinta dal confine tra Italia e Francia. I medici sono riusciti a far nascere il figlio di poche settimane.
CRONACA ITALIANA 23 MARZO 2018  21:36 di Davide Falcioni
Le politiche del governo francese sui respingimenti dei migranti che tentano di attraversare il confine italiano hanno presentato ancora una volta il conto: una donna incinta di poche settimane e affetta da un grave linfoma è morta all'ospedale Sant'Anna di Torino poche ore dopo essere stata respinta dai gendarmi francesi al confine di Bardonecchia, e dopo essere stata sottoposta a un parto cesareo d'urgenza. B.S., 31enne di nazionalità nigeriana, era stata soccorsa dagli attivisti di Rainbow4Africa. "Le autorità francesi sembrano avere dimenticato l'umanità", dice all'Ansa Paolo Narcisi, presidente dell'associazione che da dicembre ha aiutato un migliaio di migranti. Fortunatamente i medici dell'ospedale piemontese sono riusciti a far venire alla luce il figlio della donna, che pesa appena 700 grammi e le cui condizioni sono estremamente precarie.
Narcisi ha aggiunto:  "I corrieri trattano meglio i loro pacchi". Per l'uomo respingere una donna incinta e malata giunta alla frontiera "è un atto grave – dice ai microfoni del Tg3 – che va contro tutte le convenzioni internazionali e al buon senso, proprio come criminalizzare chi soccorre". Nei giorni scorsi una guida alpina francese ha aiutato a partorire un'altra migrante incinta e per questo rischia una condanna fino a cinque per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. "Tutto questo è indice di una paura strisciante, ma non bisogna avere paura", aggiunge il presidente di Rainbow4Africa, che ha lanciato la campagna Facebook ‘soccorrere non è un crimine'. "Un giorno potremmo esserci noi al loro posto…".
La donna nigeriana morta oggi era stata ricoverata per un mese al Sant'Anna di Torino, seguita dall'Ostetricia e Ginecologia diretta dalla professoressa Tullia Todros e dai medici del reparto di ematologia delle Molinette. E' stata tenuta in vita il più possibile, per permetterle di portare avanti la gravidanza. Il neonato è ora ricoverato nella Terapia Neonatale del Sant'Anna, diretta dalla professoressa Enrica Bertino, assistito dal padre, anche lui respinto al confine di Bardonecchia.
Davide Falcioni
Sembra che sia un vizio francese non soccorrere chi è in pericolo o condannare chi aiuta coloro che si trovano in situazioni difficili per loro stessi e per i minori che tentano di vivere, o solo di esistere.
18) “Viaggi Disperati”: meno migranti in Italia, aumentano in Spagna e Grecia
11 aprile 2018 Articolo 21 Giornale (tutti i diritti riservati all’autore ed alla testata)
Nuovo rapporto dell’Unhcr, che illustra il cambiamento dei modelli dei flussi. Nel 2018 in Italia calo del 74% degli arrivi via mare. Ma sale il tasso di mortalità. E a causa delle maggiori restrizioni imposte in Ungheria, molti rifugiati e migranti ricorrono a rotte alternative per spostarsi all’interno dell’Europa
ROMA – Nonostante sia diminuito il numero di rifugiati e migranti che lo scorso anno sono entrati in Europa, i pericoli che molti affrontano durante il viaggio sono in alcuni casi aumentati. E’ quanto sottolinea un nuovo rapporto pubblicato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), che illustra il cambiamento dei modelli dei flussi.
Il rapporto Viaggi Disperati rileva come 
gli arrivi via mare in Italia, provenienti principalmente dalla Libia, siano drasticamente diminuiti dal luglio 2017. Questa tendenza è continuata nei primi tre mesi del 2018, con un calo del 74% rispetto allo scorso anno.
“Il viaggio verso l’Italia si è dimostrato sempre più pericoloso – afferma l’Unhcr - : nei primi tre mesi del 2018 il tasso di mortalità tra coloro che partono dalla Libia è salito a 1 decesso ogni 14 persone, rispetto a 1 decesso ogni 29 persone nello stesso periodo del 2017. Negli ultimi mesi si è inoltre registrato un deterioramento molto preoccupante della salute dei nuovi arrivati dalla Libia: un numero crescente di persone infatti sbarca in precarie condizioni di salute, mostrando segni di estrema debolezza e magrezza”.
In aumento gli arrivi in Spagna e Grecia. Mentre il numero complessivo di traversate del Mediterraneo è rimasto molto al di sotto dei livelli del 2016, il rapporto dell’Unhcr rileva anche un aumento degli arrivi in Spagna e in Grecia nell’ultima parte del 2017.
“Lo scorso anno – si afferma -, la Spagna ha registrato un aumento del 100% rispetto al 2016, con 28 mila nuovi arrivi. I primi mesi del 2018 mostrano una tendenza simile, con un incremento degli arrivi del 13% rispetto allo scorso anno”. A detenere il primato dei flussi migratori sono marocchini e algerini, ma i siriani rimangono il gruppo più numeroso che attraversa le frontiere terrestri della Spagna.
In Grecia, il numero totale di arrivi via mare è diminuito rispetto al 2016; tuttavia si è registrato un aumento del 33% tra maggio e dicembre di quest’anno con 24.600 arrivi rispetto ai 18.300 nello stesso periodo del 2016. La maggior parte proveniva da Siria, Iraq e Afghanistan, compreso un elevato numero di famiglie con bambini. I richiedenti asilo sbarcati in Grecia hanno affrontato lunghi periodi di permanenza sulle isole greche in condizioni drammatiche e di sovraffollamento.
Rotte alternative e morti. Secondo l’Unhcr, a causa delle maggiori restrizioni imposte in Ungheria, molti rifugiati e migranti ricorrono a rotte alternative per spostarsi all’interno dell’Europa. Ad esempio, alcuni entrano in Romania dalla Serbia, mentre altri partono dalla Grecia e attraversano l’Albania, il Montenegro e la Bosnia- Erzegovina per arrivare in Croazia.
“Per rifugiati e migranti viaggiare verso l’Europa e al suo interno continua a essere molto pericoloso”, ha riferito Pascale Moreau, direttrice dell’Ufficio per l’Europa dell’Unhcr. Si stima che oltre 3.100 persone abbiano perso la vita in mare l’anno scorso mentre lungo le rotte verso l’Europa, rispetto alle 5.100 del 2016. Altre 489 persone sono morte o risultano disperse dall’inizio del 2018.
Oltre ai decessi in mare, nel 2017 ci sono state almeno altre 75 persone lungo le rotte terrestri che hanno perso la vita alle frontiere esterne dell’Europa o durante il viaggio in Europa, insieme a continue e preoccupanti segnalazioni di respingimenti.
“L’accesso al territorio e a procedure di asilo rapide, eque ed efficienti per chi cerca protezione internazionale sono fondamentali. Gestire le frontiere e garantire protezione ai rifugiati in conformità agli obblighi internazionali degli Stati non si escludono a vicenda né sono incompatibili”, dichiara Moreau.
Abusi e violenze. Il rapporto dell’Unhcr sottolinea anche gli abusi e le estorsioni subite da rifugiati e migranti per mano di trafficanti, contrabbandieri o gruppi armati lungo varie rotte verso l’Europa.
“Le donne, soprattutto quelle che viaggiano da sole, e i minori non accompagnati rimangono particolarmente esposti al rischio di violenza sessuale e di genere lungo le rotte verso l’Europa e in alcune località all’interno dell’Europa. Nel 2017, oltre 17 mila minori non accompagnati sono entrati in Europa. La maggior parte è arrivata via mare in Italia, dove il 13% di tutti gli arrivi è costituito da bambini che viaggiano da soli, una tendenza simile al 2016”.
Reinsediamenti. Il rapporto dell’Unhcr mostra tuttavia alcuni progressi positivi nel numero di persone reinsediate in Europa lo scorso anno, con un aumento del 54% dal 2016. La maggior parte di questi 26.400 rifugiati erano di nazionalità siriana (84%) e sono stati reinsediati dalla Turchia, dal Libano e dalla Giordania. Tra i Paesi europei, il Regno Unito, la Svezia e la Germania hanno accolto il maggior numero di rifugiati attraverso il programma del reinsediamento.
Un altro sviluppo positivo si è registrato alla fine dello scorso anno, quando l’Unhcr ha iniziato a favorire l’evacuazione dei rifugiati vulnerabili dalla Libia al Niger e dalla Libia verso l’Italia.
“Le operazioni di evacuazione dalla Libia e le maggiori opportunità di reinsediamento che abbiamo visto l’anno scorso sono ottime notizie. Restano ancora seri ostacoli che limitano l’accesso a percorsi sicuri e legali, incluso il ricongiungimento familiare, per le persone bisognose di protezione internazionale e chiediamo pertanto più solidarietà”, ha dichiarato ancora Pascale Moreau.
I suggerimenti dell’Unhcr. Infine, il rapporto fornisce raccomandazioni supplementari in merito alla necessità di rafforzare la solidarietà tra gli Stati in Europa e con i Paesi di primo asilo e di transito, per migliorare la qualità dell’accoglienza, specialmente nel caso di minori non accompagnati e separati e persone sopravvissute a violenza sessuale e di genere, e per garantire una migliore protezione dei bambini.

19) Gaza, una notte con gli organizzatori della "grande marcia" alla vigilia di un'altra giornata di lotta
Opinioni 5 aprile 2018 di: PATRIZIA CECCONI
Siamo andati in uno dei punti caldi, a est di Khan Younis, dove venerdì scorso i cecchini israeliani hanno fatto tre vittime e un numero imprecisato di feriti
Attenti a quei popoli che non hanno più niente da perdere. O li sterminate dal primo all'ultimo o non vi daranno pace. Oppure, se davvero è la pace che volete, dovete  lasciare il campo alla giustizia.
lo spassionato  consiglio da dare a Israele dopo aver osservato dall'interno le dinamiche createsi a Gaza in questi decenni di sopraffazione e soprattutto dopo questi ultimi 11 anni di assedio.
La "grande marcia del ritorno" iniziata il 30 marzo con la giornata della terra è la risposta esasperata e forse definitiva allo strapotere israeliano che occupa la Cisgiordania e assedia Gaza. Secondo gli organizzatori la marcia non-violenta per ottenere i propri diritti andrà avanti fino al 15 maggio, giorno della Nakba, ma Israele, dall'alto del suo potere arbitrario e  senza antagonisti, ha già commesso una strage di innocenti venerdì scorso ed ha minacciato di commetterne una peggiore il prossimo venerdì per impedire che la marcia prosegua.
Davanti alla minaccia di un crimine le istituzioni preposte al rispetto del diritto internazionale dovrebbero intervenire Ma in questo caso non lo hanno fatto. Davanti all'esecuzione del crimine non potrebbero proprio non  intervenire. Ma non sono intervenute. Quindi Israele il prossimo venerdi commetterà una nuova strage come già minacciato, forte dell'impunità e del tacito assenso ottenuto col silenzio o tutt'al più il balbettio di governi e Istituzioni internazionali.
Questo lo sanno bene gli organizzatori della "grande marcia" eppure non demordono.
Siamo andati a passare una giornata con loro  per capire cosa li muove a sfidare la morte senza che sia visibile una vera e propria strategia vincente.
Siamo andati in uno dei punti caldi, a est di Khan Younis, dove venerdì scorso i cecchini israeliani hanno fatto tre vittime e un numero imprecisato di feriti, esattamente a  Khuza'a, cittadina già pesantemente colpita dall'aggressione israeliana del 2014, tanto che visitandola due anni dopo la sua distruzione si percepiva ancora l'accanimento feroce con cui Israele aveva voluto punire i suoi abitanti. Si percepiva, dalle ferite ancora aperte,  la volontà di sterminio che aveva guidato da terra e dal cielo quello che viene definito, per ossequio verso Israele, l'esercito più morale del mondo. Ma nonostante i suoi visibili sforzi e l'uso abbondante di armi, anche vietate,  contro gli abitanti di Khuza'a, l'Idf non era riuscito a eliminarli tutti e molti di loro, giovanissimi, con ferite nell'animo e a volte nel corpo che cicatrizzandosi hanno tolto loro la paura della morte, ieri sera erano là sul border, guardando disarmati - alla distanza imposta di 700 metri - il nemico armato al quale ripetono anche in questo modo la loro determinazione a resistere a costo della propria vita.
Compatti, giovani e meno giovani, uomini e donne, attrezzati con tende per dormire, per preparare il cibo, per offrire soccorso medico e per comunicare col mondo attraverso canali radio e internet, sono qui a migliaia ed hanno organizzato anche una danza a chiusura della giornata.
Chi scrive arriva sul posto scortata da persone che rendono sicuro ogni suo passo perché -  anche se sembra quasi di stare in una festa di paese animata da un caos apparentemente allegro - sia gli amici che le autorità locali non vogliono che i pochissimi occidentali presenti nella Striscia corrano alcun rischio.
Ci sono alcuni fotoreporter, nel concentramento di Khuzaa'a, che scattano foto e girano video che mostreranno al mondo la realtà, attività necessaria a far capire chi sia l'aggredito e chi l'aggressore, ma quelli che incontriamo sono tutti locali e l'occidente, si sa, subisce il "fascino" della narrazione israeliana anche quando stride violentemente con i fatti reali. E' probabilmente per questo che accolgono l'arrivo di una testimone occidentale con un'accoglienza ancor più calda di quella che questo popolo di solito riserva agli ospiti. Questa testimonianza non avrà la capacità di rompere il muro eretto col favore dei media main strem, ma sarà comunque qualcosa, in fondo questo è il senso della stampa realmente indipendente, cartacea o on line che sia e loro lo sanno molto bene.
La folla che ha risposto alla chiamata degli organizzatori è composta da un popolo variegato  le cui differenze politiche non sono percepibili, perché militanti e simpatizzanti di ogni fazione sono tutti sotto l'unica bandiera palestinese mettendo in pratica, dal basso, quella riconciliazione necessaria e vincente che i vertici delle diverse formazioni politiche non sono ancora riusciti a realizzare.
Hanno raccolto un buon numero di pneumatici che bruceranno venerdì prossimo per coprirsi dietro una cortina di fumo che renderà più difficile ai cecchini mirare ai loro corpi e uccidere puntando al cuore e alla testa  oppure invalidare mirando al bacino come hanno fatto con centinaia di manifestanti lo scorso venerdì.
Passiamo qui alcune ore, fino a notte, intervistando in modo formale e informale uomini e donne, giovani e adulti, che con l'aiuto dell'interprete arabo parlano con noi in piena libertà e tutte e tutti ripetono che la paura ha lasciato il posto alla determinazione a ottenere il rispetto della legalità internazionale, quella stessa che viene regolarmente e impropriamente citata a difesa di Israele il quale non l'ha mai rispettata.
Chi con indubbia competenza, chi ripetendo in modo ingenuo di aver diritto a tornare nella propria casa, tutti fanno riferimento al Diritto internazionale e alla Risoluzione Onu 194 che, a parole, garantisce il loro diritto regolarmente violato.
Qui nella Striscia di Gaza la maggioranza della popolazione infatti vive nei campi profughi allestiti  dopo la Naqba, cioè la catastrofe che, nello stesso anno in cui veniva emanata la Dichiarazione universale dei diritti umani, vedeva il nascente Stato di Israele violarli  a danno dei palestinesi cacciati a centinaia di migliaia dalle loro case.
Avanziamo il dubbio che questa grande iniziativa sia un po' la ripetizione di tante altre manifestazioni finite nel sangue e chiediamo cosa ci sia di diverso questa volta, a parte la durata programmata della grande marcia che dovrebbe chiudersi il 15 maggio.
Generalmente i palestinesi, quando li si intervista su questi temi, parlano di speranza ma questa volta al termine speranza hanno sostituito un avverbio: "kalas" cioè "basta", e con una determinazione che qualche media filo-israeliano sicuramente definirà fanatismo o addirittura fanatismo antisemita, ripetono che la morte non li spaventa più e che preferiscono morire che seguitare a vivere senza libertà e senza diritti. Questo è il messaggio che vogliono mandare al mondo e che sono sicuri di riuscire a far arrivare. Diciamo ai nostri interlocutori che il mondo dei media e delle istituzioni segue la narrazione israeliana e ripete che questa grande iniziativa è organizzata e gestita da Hamas. La risposta è comune, sia da parte di chi appartiene alle fila si Hamas che da parte di tutti gli altri, ed in sintesi la risposta è "siamo al di là delle divisioni politiche e vogliamo che il mondo riconosca i nostri diritti".
Tra gli attivisti  che intervistiamo c'è il giornalista free lance Walid Mahmoud, cittadino di Khuza'a, che ci rilascia una dichiarazione precisa e ci autorizza a pubblicarla , queste le sue parole tradotte dall'inglese:"Sì, la morte non ci spaventa, perché siamo persone che hanno perso molto negli ultimi anni e oggi in questo marzo non abbiamo nulla da perdere... negli ultimi anni l'occupazione israeliana ha commesso troppi crimini contro di noi ... e ora non ci arrenderemo e continueremo a marciare fino a quando non vedremo azioni sul terreno, perché il troppo è troppo. Oltre 10 anni di assedio e tre aggressioni fanno di Gaza una realtà  invivibile, e noi dobbiamo mantenere ciò che rimane da Gaza anche se ci costerà la vita. Vogliamo i nostri diritti come qualsiasi altra persona su questo pianeta, la decisione delle Nazioni Unite dice che i profughi palestinesi devono tornare nella loro terra occupata e noi questo vogliamo.... Sono fotoreporter e attivista freelance di Gaza e sto lavorando duramente per sensibilizzare il mondo su Gaza. Il mio obiettivo nella vita è di far capire alle persone che sostengono gli oppressori che sono dalla parte sbagliata e vorrei vedere il mondo svegliarsi e permettere ai palestinesi di avere giustizia.
Mentre raccogliamo le nostre interviste, c'è chi ci porta il "qahwe" cioè il caffè palestinese al cardamomo, chi lo "shay" cioè il loro tè bollente alla salvia perché a quest'ora fa freddo, chi ci offre dolci o altro cibo, e nel caos di voci e musica ogni tanto si sente qualche colpo sordo, sono i soldati israeliani che sparano i tear gas il cui fumo si confonde con quello degli pneumatici bruciati. 
Questa gente sa che venerdì prossimo Israele continuerà a offrire morte invece di accettare giustizia perché l'Onu non interverrà, ma loro resisteranno lo stesso e citano le parole di Arafat e di altri combattenti del mondo "preferiamo morire in piedi che vivere in ginocchio"  e intanto ci invitano ad assistere alla danza tradizionale che balleranno tutti insieme centinaia di uomini di ogni età. Non si tratta della dabka, ma della dhiya e la differenza non è piccola cosa perché la dhiya ha un preciso significato e forse qualche antropologo israeliano lo sa e farebbe bene a farlo sapere anche al suo governo. La dhiya è un'antica danza araba di origine  tribale che ha la funzione di sollevare gli animi, dare coraggio e creare entusiasmo collettivo prima di una battaglia. E' insomma una danza di guerra che non porta alla resa.
Questo popolo, di fronte a un nemico tanto armato quanto spietato sta ballando a mani nude la dhiya. Questo significa che questo popolo non si arrenderà. Perché non ha più niente da perdere. 
Israele ha solo due alternative:  o sterminare ogni individuo di questo martoriato popolo, ma non ci riuscirà, o vivere con l'incubo che ci sarà sempre qualcuno a presentargli il conto dei suoi crimini. 
Se l'Onu, ormai screditata proprio dalla sua accondiscendenza verso i crimini israeliani riuscisse a prendere le giuste misure per condurre Israele nell'ambito della legalità la dhiya verrebbe danzata per festeggiare la vittoria della giustizia e non per prepararsi all'ultima battaglia.
Noi siamo solo osservatori e testimoni, quindi non ci resta che osservare e comunicare ciò che abbiamo visto e ciò che succederà nei prossimi giorni sperando, come umani e non solo come comunicatori, che dopo 70 anni possa esserci la sterzata giusta per interrompere questa mattanza di vite e di diritti. 
Patrizia Cecconi
Gaza 5 aprile 2018
20) Cosa ha portato all’attacco alla Siria e cosa succede adesso
Stati Uniti, Francia e Inghilterra hanno dato il via nella notte all’annunciata risposta militare alla strage con armi chimiche avvenuta a Duoma una settimana fa. Dopo giorni di altissima tensione internazionale, oltre cento missili hanno colpito Damasco e Homs. Una pericolosa escalation che può portare ad uno scontro diretto tra potenze nucleari oppure solo un altro episodio della lunga guerra siriana?
GUERRA IN SIRIA 14 APRILE 2018 15: 53 di Mirko Bellis
L’annunciato attacco alla Siria è iniziato alle tre di questa mattina. Dopo il discorso del presidente Trump in diretta Tv, i tracciati dei missili da crociera Tomahawk hanno illuminato la notte della capitale siriana. Sono stati colpiti tre siti a Damasco e Homs che, secondo quanto affermato dal Pentagono, erano adibiti allo stoccaggio e produzione di armi chimiche. La risposta militare di Stati Uniti, Francia e Inghilterra arriva ad una settimana esatta dalla strage avvenuta a Douma, nella Ghouta orientale. Più di quaranta tra donne, uomini e bambini erano stati rivenuti senza vita nei sotterranei e in un appartamento di un palazzo della città. Nei video diffusi in rete, i cadaveri mostravano i segni di una morte atroce e le immagini avevano suscitato l’indignazione in tutto il mondo. Altre 500 persone, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, erano state ricoverate con sintomi da intossicazione. Non è la prima volta che il regime di Damasco è accusato di aver impiegato sostanze chimiche: il 4 aprile dell’anno scorso a Khan Shaykhun un episodio simile aveva provocato la reazione degli Usa e in quell'occasione il presidente statunitense aveva ordinato il lancio di 59 missili che avevano distrutto una base dell’aviazione siriana.
Da giorni Trump minaccia, a colpi di tweet, la Siria e la Russia, il principale alleato assieme all'Iran di Bashar al Assad. Uno scontro che ha tratto alla memoria gli anni più bui della guerra fredda.
Una settimana segnata anche dalle sessioni del Consiglio di Sicurezza per stabilire la responsabilità dell’attacco a Douma e l’invio di ispettori indipendenti. Riunioni che si sono risolte in un nulla di fatto per i veti incrociati delle due superpotenze.
Nell'azione punitiva al regime di Damasco, a fianco degli Stati Uniti, anche Francia e Inghilterra. Il presidente francese Macron nei mesi scorsi aveva preannunciato un intervento contro Bashar al Assad nel caso in cui avesse utilizzato armi chimiche. Diversa invece la posizione inglese: la premier britannica Theresa May, almeno in primo momento, si era dimostrata cauta nel coinvolgere il suo Paese in questa nuova avventura bellica. Dopo aver incassato l’approvazione del suo gabinetto, però, anche May ha dato l’ordine di schierare i sommergibili nel Mediterraneo e di mettere in preallarme la squadriglia di caccia Tornado nella base di Cipro. Uno sfoggio di potenza militare che non si vedeva dalla guerra in Iraq del 2003. Di fronte alle manovre militari delle tre potenze occidentali, la Russia ha reagito minacciando di colpire non solo i missili indirizzati verso il territorio siriano ma anche le navi o gli aerei da dove fossero lanciati. Uno scontro diretto tra potenze nucleari reso ancora più probabile quando, solo due giorni fa, il rappresentante russo alle Nazioni Unite aveva avvertito il rischio di una guerra con gli Stati Uniti in caso di attacco.
Adesso che l’attacco è avvenuto, c'è l’inquietudine sulle possibili conseguenze. Questa mattina non si sono fatte attendere le dichiarazioni dell’ambasciatore russo negli Stati Uniti il quale ha affermato in un comunicato che: “Ancora una volta, siamo minacciati. Abbiamo avvertito che tali azioni non rimarranno senza conseguenze. Tutte le responsabilità ricadranno su Washington, Londra e Parigi. Insultare il presidente della Russia è inaccettabile e inammissibile. Gli Stati Uniti – il possessore del più grande arsenale di armi chimiche – non hanno il diritto morale di incolpare altri Paesi”.
Il presidente Putin, da parte sua, ha condannato il raid definendolo "un atto di aggressione" e ha avvertito che l'attuale escalation della crisi siriana ha “un impatto devastante sull'intero sistema delle relazioni internazionali". La Russia, inoltre, ha chiesto una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu per discutere degli attacchi sulla Siria. Dichiarazioni infuocate arrivano anche dall'Iran, secondo cui, Stati Uniti, Francia e Inghilterra “sono responsabili delle conseguenze regionali di questa azione avventurista”.
Ma al di là della retorica di questi momenti, l’attacco missilistico non compromette realmente le capacità dell’esercito siriano, che nei giorni scorsi aveva provveduto a mettere al riparo le proprie unità. “Abbiamo attutito l’attacco – ha detto un funzionario di Damasco – eravamo stati avvertiti in anticipo dai russi”. Per dimostrare quanto poco l’azione di stanotte abbia influenzato le attività del governo, l’ufficio di presidenza di Bashar al Assad ha diffuso questa mattina un video in cui si vede il presidente siriano recarsi al lavoro come se niente fosse successo.
Se la premier inglese si è affrettata a dire che l’obiettivo dell’attacco non è un cambio di regime in Siria, il Capo di stato maggiore dell'esercito Usa, il generale Joseph Dunford, ha detto che gli Stati Uniti hanno identificato in modo specifico gli obiettivi da colpire in modo da evitare il rischio di vittime russe. A questo si aggiunge l'ultima dichiarazione del presidente Trump il quale, ringraziando Francia e Inghilterra, dà per "compiuta" la missione.
Un ulteriore dimostrazione della limitata portata dell’operazione militare che difficilmente porterà ad un maggiore coinvolgimento in Siria delle potenze occidentali.
Mirko Bellis
21) Siria: Onu boccia richiesta Russia di condannare attacco
Solo 3 sì in Consiglio a risoluzione contro raid Usa-Gb-Francia
NEW YORK, 14 APR - Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha bocciato una bozza di risoluzione proposta dalla Russia che "condannava l'aggressione contro la Siria da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, in violazione delle leggi internazionali e della Carta delle Nazioni Unite". Il testo ha ottenuto solo 3 voti a favore (Russia, Cina e Bolivia), 8 contrari e 4 astenuti. Non è stato necessario il veto di Usa, Gran Bretagna e Francia.
(Continua su: http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/italia/1003559/siria-onu-boccia-richiesta-russia-di-condannare-attacco.html).

22) Siria. I missili il vero danno non l’hanno causato ad Assad, ma all’ONU
Opinioni 15 aprile 2018 di: MASSIMO MARNETTO
I missili sulla Siria il vero danno non l’hanno causato ad Assad, ma all’ONU.
Delegittimata dall’ennesimo intervento militare non autorizzato, il palazzo di vetro si vede ancora una volta ridimensionato a Organizzazione Non Utile. Sia quando emette risoluzioni spesso ignorate; sia quando condanna inutilmente aggressioni unilaterali; sia, infine, quando non riesce nemmeno a pronunciarsi, bloccata dal diritto di veto delle potenze che fanno parte in modo permanente del Consiglio di Sicurezza, per diritto di vittoria nella seconda  guerra mondiale. Cioè, in base ad un evento che risale a oltre 70 fa.
Ormai l’ascendente dell’ONU è limitato ai piccoli stati, ma le grandi potenze la ignorano. E se si innervosiscono per qualche decisione percepita come affronto di sovranità, si riservano pure il diritto di non sospendere la loro quota di adesione (vedi Usa). Ora, per il caso Siria, balbetterà qualche dichiarazione, ma sarà acqua fresca, dopo la depurazione verbale a cui ogni documento è sottoposto dagli specialisti delle superpotenze, pagati per parlare senza dire nulla e per verbalizzare l’ovvio.
La perdita di autorevolezza di questa Organizzazione è l’indicatore più inquietante della svalutazione della pace. E della necessità di ogni popolo di badare al nazionalismo in casa propria, in modo che non possa saldarsi a quello di altre nazioni. Perché poi queste comitive esuberanti finiscono sempre per passare la serata bombardando qualcuno.
(Continua su: https://www.articolo21.org/2018/04/siria-i-missili-il-vero-danno-non-lhanno-causato-ad-assad-ma-allonu/).

23) Tre aziende hanno venduto 96 tonnellate di alcol alla Siria: “Lo hanno usato per le armi chimiche”
Secondo la rivista Knack e Syrian Archive, tre aziende belghe hanno esportato in Siria 96 tonnellate di isopropanolo, un materiale chimico “a duplice uso” che potrebbe essere stato usato per la fabbricazione del sarin, il micidiale gas nervino utilizzato nel corso della guerra.
GUERRA IN SIRIA 19 APRILE 2018 13: 20 di Mirko Bellis
Secondo la rivista Knack e Syrian Archive, tre aziende belghe hanno esportato in Siria 96 tonnellate di isopropanolo, un materiale chimico “a duplice uso” che potrebbe essere stato usato per la fabbricazione del sarin, il micidiale gas nervino utilizzato nel corso della guerra.
Tre aziende belghe sono accusate di aver esportato in Siria 96 tonnellate di alcool isopropanolo, una sostanza chimica che, tra gli altri usi industriali, può servire anche per la fabbricazione del sarin, il gas nervino utilizzato a Khan Shaykhun in cui sono morte decine di persone. Secondo quanto emerso da un’inchiesta della rivista Knack e Syrian Archive, le tre società hanno continuato a vendere il prodotto nonostante le regole imposte dall'Unione europea nel 2013 che prevedevano speciali autorizzazioni per il commercio di materiale “a duplice uso” verso il Paese mediorientale.
I carichi di isopropanolo sono partiti dal porto di Anversa tra il 2014 e il 2016. Roland Cassiers, portavoce della Corte penale di Anversa, ha confermato che le compagnie coinvolte sono AAE Chemie Trading, un grossista di prodotti chimici per uso industriale; Anex Customs, un’azienda che forniva servizi amministrativi fino alla sua bancarotta nel 2017; e Danmar Logistics, una società di logistica. L'isopropanolo, noto anche come alcool isopropilico, è considerato un prodotto, al pari del cloro, con molteplici usi legittimi come ad esempio nell'industria farmaceutica o nel settore delle vernici. Ma può essere utilizzato anche nel processo di sintesi di agenti chimici come il sarin, il gas nervino bandito dalla Convenzione sulle armi chimiche del 1993.
Il sarin è stato utilizzato nell'attacco di Khan Shaykhun il 4 aprile del 2017 dove morirono decine di persone. Dai campioni prelevati dall'Organizzazione per la proibizione delle Armi Chimiche (Opcw) sul luogo dell’esplosione è emerso che l’uso del gas sarin è stato dimostrato “in maniera incontrovertibile”. I test di laboratorio, inoltre, hanno provato che per la produzione dell’arma chimica è stato utilizzato proprio l'isopropanolo. Secondo il tossicologo belga Jan Tytgat, la morte provocata da questa sostanza chimica è molto dolorosa e la dose letale di sarin per gli adulti è stimata in meno di 1 milligrammo.
Sulla base delle informazioni contenute nel database delle Nazioni Unite sul commercio internazionale Comtrade, è emerso anche che diversi Paesi hanno continuato a commercializzare l'isopropanolo in Siria in questi anni.
I dati mostrano che dal 2014 circa 1.280 tonnellate di propanolo e isopropanolo (le due sostanze sono registrate con lo stesso codice) sono stati esportati in Siria, la maggior parte proveniente da Emirati arabi uniti e Libano. Le statistiche delle Nazioni Unite mostrano anche come il Belgio sia stato l'unico Stato europeo ad aver continuato il commercio verso il Paese mediorientale nonostante le restrizioni imposte dall'Unione europea.
Secondo Francis Adyns, funzionario del dipartimento delle finanze belga, “L'isopropanolo è impiegato, tra le altre cose, come solvente nell'industria delle vernici, come disinfettante in ambito sanitario e come refrigerante”. “Le autorità doganali non sono a conoscenza di nessun altro uso di questa sostanza chimica e le esportazioni – ha precisato Adyns – sono avvenute nel corso di decenni agli stessi clienti”. La prima udienza del processo a carico delle tre aziende è stata fissata per il prossimo 15 maggio, ha fatto sapere Johan Van Overtveldt, il ministro delle finanze belga.
Dal canto loro, le tre società si sono difese affermando di aver agito in buona fede. AAE Chemie ha confermato di aver esportato isopropanolo in Siria, ma ha anche sottolineato che ha venduto questo prodotto da almeno 20 anni a clienti che appartengono all'industria delle vernici e della lavorazione del cuoio e "nessuna di queste società sembra essere in lista sospetta”. Secondo la versione delle tre aziende belghe, inoltre, le autorità doganali hanno sempre approvato le spedizioni verso la Siria senza aver mai trovato nulla da ridire. Ma i magistrati stanno indagando in totale 24 spedizioni avvenute tra maggio 2014 e dicembre 2016 e, oltre all'isopropanolo, sono finite nel mirino anche 219 tonnellate di acetone, 77 tonnellate di metanolo e 21 tonnellate di diclorometano. Sostanze chimiche partite dal Belgio senza nessuna autorizzazione nonostante le sanzioni al regime di Bashar al Assad.
Mirko Bellis
24) Nigeria, assalto in una chiesa durante la messa: uccisi due preti e 17 fedeli
L’episodio nello Stato nigeriano del Benue dove da tempo sono in corso scontri tra pastori nomadi, per lo più musulmani, e gli agricoltori, che sono prevalentemente cristiani.
AFRICA 25 APRILE 2018 11: 10 di Antonio Palma
Ancora sangue in Nigeria e ancora una volta ad essere presa di mira è una chiesa cristiana. Nelle scorse ore infatti un commando armato ha assaltato un edificio religioso dove era in corso una messa per i fedeli facendo una strage di fedeli. L'episodio nella chiesa di un villaggio remoto nello Stato nigeriano del Benue, Mbalom. Gli assalitori hanno fatto irruzione armi in pugno nella struttura sparando all'impazzata e uccidendo 19 persone . A terra sono rimasti i due preti che celebravano la messa e 17 fedeli. Secondo quanto ha affermato alla Cnn il portavoce della polizia locale, Terver Akase, gli aggressori sarebbero dei mandriani musulmani di etnia Fulani che avrebbero preso di mira l'intero villaggio appiccando anche il fuoco a una cinquantina di abitazioni ai campi agricoli circostanti prima di andare via.
"Sono in programma degli arresti perché stanno diventando sempre più sfrontati", ha aggiunto il portavoce sottolineando che nella stessa zona alcuni giorni fa un altro assalto ha fatto dieci vittime tra i residenti. Secondo quanto riportato dai media locali, l'assalto potrebbe rientrare nello scontro in atto da tempo tra pastori Fulani, per lo più musulmani, e gli agricoltori, che sono prevalentemente cristiani, ma che negli ultimi tempi si è inasprito fino agli assalti armati. Almeno 72 persone infatte sono state uccise dall'inizio dell'anno a causa degli scontri tra pastori nomadi e agricoltori nella parte centrale del paese dell'Africa occidentale.
- Nigeria: doppio attacco kamikaze, strage in moschea e al mercato da Euronews
(Ultimo aggiornamento: 02/05/201)
La prima esplosione in moschea, la seconda al mercatino, pochi minuti dopo; almeno 60 i morti causati da due kamikaze il primo maggio a Mubi, città nel nord-est della Nigeria. Gli attacchi arrivano nelle ore della visita del presidente nigeriano a Washington, dove ha ringraziato Donald Trump per il suo aiuto contro Boko Haram; il gruppo jihadista proprio lo scorso novembre aveva colpito la stessa cittadina con un assalto simile causando una cinquantina di morti.
Questa volta a farsi esplodere sarebbero stati due ragazzi, il secondo ha mietuto vittime proprio tra i fedeli in fuga dalla moschea dopo la prima esplosione.
Dal 2009 Boko Haram terrorizza la Nigeria in tutto 20mila sono state le vittime e 2,6 milioni gli sfollati.

25) Afghanistan, Onu: “30 bambini uccisi in un raid dell’esercito contro una scuola”
L’esercito afghano il 2 aprile scorso avrebbe ucciso almeno 30 bambini in un raid aereo realizzato contro una scuola coranica della provincia settentrionale di Kunduz. Lo ha reso noto la Missione delle Nazioni Unite di assistenza all’Afghanistan (Unama).
ASIA 7 MAGGIO 2018 20: 54 di Susanna Picone
Il 2 aprile scorso almeno trenta bambini sarebbero stati uccisi dall’esercito afghano in un raid aereo realizzato contro una scuola coranica della provincia settentrionale di Kunduz. È quanto ha reso noto oggi a Kabul la Missione delle Nazioni Unite di assistenza all’Afghanistan (Unama). Nel rapporto frutto di una indagine sull’operazione che fu presentata dai vertici militari come diretta a eliminare alti responsabili talebani nel distretto di Dasht- i- Archi, l’Onu ha precisato che provocò trentasei morti e settantuno feriti. Di questi, trenta morti e cinquantuno feriti in realtà erano dei bambini. Solo sei persone decedute nel raid aereo sarebbero stati dunque adulti. Dopo aver precisato questo, l'Unama ha fatto sapere di non aver potuto verificare con certezza se all'interno del seminario vi fossero talebani e ha raccomandato di impartire all'esercito direttive inerenti il rispetto del diritto umanitario internazionale.
Cinque agenti uccisi dai talebani – Il portavoce dei talebani, Qari Yussouf Ahmadi, ha intanto rivendicato con una dichiarazione inviata ai media un attacco avvenuto nella provincia di Kandaharattacco avvenuto nella provincia di Kandahar, nel sud dell'Afghanistan. Nell’attacco – secondo quanto reso noto da un portavoce del capo della polizia provinciale – almeno cinque agenti sono stati uccisi e altri nove sono rimasti feriti. Nel corso dell’attacco – avvenuto nel distretto di Marouf, vicino al confine con il Pakistan – c'è stato anche uno scontro a fuoco con la polizia in cui sono morti quindici talebani e una decina sono rimasti feriti. Lo scontro a fuoco è durato varie ore dopo che sono arrivati i rinforzi delle forze di sicurezza.
Susanna Picone
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26)  Ritrovate le due gemelline di 4 anni scomparse a Udine: si erano perse nel bosco col cane
Finita la paura a Udine per la scomparsa di due bambine che si erano allontanate da casa a Tarcento, mentre la madre stava cucinando. Tutto il paese si è mobilitato per le ricerche.
CRONACA ITALIANA 25 APRILE 2018 10: 17 di Susanna Picone
L’allarme era scattato nel pomeriggio del 24 aprile. Due gemelline di quattro anni, Elisabetta e Adele, non si trovavano più. Erano scomparse da un piccolo paesino sopra Tarcento (Udine). Per ore centinaia di soccorritori hanno partecipato alle ricerche e fortunatamente nella notte è arrivato il lieto fine. Le due bambine, che si erano perse nel bosco, sono state ritrovate. Le due bimbe erano in compagnia del loro pitbull Margot lungo un sentiero che porta al comune montano di Montenars. Si erano perse nel bosco e avevano camminato a lungo a piedi sbagliando più volte la strada per cercare di ritornare a casa dai loro genitori. Le bimbe si erano allontanate da casa insieme con il proprio cane, che è rimasto accanto a loro per tutto il tempo, mentre la mamma stava cucinando. È stata proprio la donna a dare l’allarme prima delle 20 quando si è accorta che le figlie non si trovavano in casa. A trovarle dopo sei ore di angoscia sono stati dei volontari. Uno di loro ha ricostruito quelle ore in un post su Facebook: “Comincio a parlare a entrambe, Adele è vigile e quasi vivace, Elisabetta è un po’ più frastornata e sta più sulle sue”, descrive così gli attimi del ritrovamento.
Le gemelle stanno bene – Da quanto si apprende, le bambine erano sicuramente stanche, ma in buone condizioni di salute tanto che non è stato necessario neppure portarle in ospedale. Rifocillate e rassicurate, sono state poi riportate a casa intorno alle due, salutate da un lungo applauso liberatorio per i tanti soccorritori che a tempo record si erano messi in moto. Alle ricerche hanno partecipato carabinieri, polizia, protezione civile, soccorso alpino, guardie giurate e tanti volontari. Nella zona della loro abitazione era stato allestito un punto base per le ricerche, illuminato dalle cellule fotoelettriche. Nell'area della scomparsa ha operato anche l'elicottero militare con termocamera arrivato da Casarsa.
Susanna Picone
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27) Vincono 10mila euro e li devolvono al loro amico che sta diventando cieco
PUBBLICATO IL 15/05/2018 - Nuova vita
Il loro team si chiama New Horizon e loro sono dei ragazzi che, conosciutisi tra i banchi di scuola, hanno deciso di fare squadra per sviluppare al massimo le loro competenze informatiche, la più grande passione che hanno. Sono talmente bravi da essersi messi in mostra con i loro progetti addirittura a livello nazionale. L'ultima loro impresa è stata vincere un premio di 10.000 euro per aver sviluppato un'app che permette alle persone con disabilità di usare al meglio i social network. Non hanno però solo una grande testa, hanno anche un grande cuore perché quei 10.000 euro hanno deciso di devolverli al Comitato Maculopatie Giovanili dell'A.P.R.I. Onlus e a un loro amico che sta perdendo la vista, ma non la voglia di crescere nel mondo dell'informatica. Con quei soldi potrà comprarsi anche il computer che tanto desidera.
Servizio di Gioele Urso, redazione di TorinoToday
(Continua su: http://www.today.it/video/vincono-10mila-euro-regalano-amico-cieco.html).

Bravi i piccoli e i giovani che svergognano il mondo degli adulti, mondo che non si sente poi troppo a disagio per quello che fa, quando tutto è in funzione del potere e dei soldi che si strappano anche di bocca alle nazioni: come nel caso della Nigeria che ce li ha, sa di averceli, ma non può usarli per sé, perché le sono sempre addosso nazioni che si professano amiche, le danno l’elemosina e che le rubano tutto quello che possono.
Chiudiamo questa relazione che ha anche un filo tenue di speranza che speriamo aumenti sempre più.

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