di Giorgio Gagliardi

martedì 22 aprile 2014

«Non uccideteci come gli scarafaggi»/«Not a Bug Splat»

«Non uccideteci come gli scarafaggi»: gigantografia di bimbi in Pakistan contro i droni killer (foto http://notabugsplat.com/ di Laura Bogliolo (tutti i diritti riservati agli autori e alle testate)

La gigantografia di una foto di un bambino stesa su un prato accanto ad alcune case. Siamo nel nord del Pakistan, area soggetta ad attacchi militari da parte di droni americani. Vogliono ricordare che le vittime civili sono molte, che quelli che sembrano insetti fuggire ritratti dagli obiettivi dei droni potrebbero essere bambini.

L'iniziativa è stata denominata not a bug splat: "a bug splat" è il termine con cui si indica il gesto di spiaccicare un insetto.

Il progetto è stato lanciato e messo in atto da un collettivo di artisti nella regione di Khyber Pukhtoonkhw che ha creato il blog Notabugsplat per diffondere l'iniziativa a cui ha preso parte anche l'artista francese Jr's.

Su Twitter la campagna di sensibilizzazione si sta diffondendo con l'hashtag #notabugsplat

Il nome del bimbo non è stato diffuso, ma sembra che sia un orfano: i suoi genitori sono stati uccisi durante gli attacchi dei droni. Tempo fa Amnesty International diffuse un rapporto sull'uccisione dei bimbi da parte dei droni in Pakistan. I droni vengono usati dagli Usa nella lotta contro Al Qaeda.
twitter: @l4ur4bogliolo.

Siamo arrivati alle armi teleguidate di distruzione e senza guida umana che distrugge e uccide. La solita lezione per adulti che hanno inventato ed usano senza che nessuno intervenga a fermare quelle carneficine sempre guidate dall'uomo, ma che terrorizzano di più, tanto che i bambini hanno capito che contro i droni non c'è nulla da fare; quelli colpiscono indiscriminatamente e non c'è rimorso alcuno da parte dell'uomo che colpisce, ma i bambini, già psicologicamente distrutti, capiscono che ormai sono considerati degli scarafaggi, degli insetti da schiacciare, ed il paragone è presto servito: dall'alto della visuale dei droni, gli umani che fuggono sembrano punti neri che corrono in tutte le direzioni, proprio come si potrebbero osservare dall'alto scarafaggi mentre li si rincorrono per ucciderli.

È bruttissimo e di un sapore nefasto il fatto che quei bambini non si sentono più futuri uomini che devono crescere e armonizzarsi con il resto del mondo per far sopravvivere l'umanità. No, sono degradati al ruolo di insetti da schiacciare e la loro mentalità ormai è regredita oltre l'uomo rettile, ma all'evoluzione primordiale della vita, anche se non si sono paragonati ai trilobiti (primi esseri invertebrati viventi), ma a forme di insetti che l'uomo teme e considera esseri che sono schiacciati dall'uomo come loro.

Il paragone ha anche una morale alienante e disumana: noi bambini qui in Siria siamo diventati insetti da schiacciare, senza la minima dignità di risparmio di esseri viventi; per noi non c'è più speranza: “siamo scarafaggi” e come tali siamo eliminati.

Questa è un'ennesima denuncia di noi adulti disumanizzati e che sono già verso la nuova evoluzione umana in regressione mentale verso una vita non più degna dell'uomo “sapiens”, ma della distruzione della vita. Il loro grido “non uccideteci come gli scarafaggi!” dovrebbe accompagnarci ogni sera quando ci addormentiamo, affinché pensiamo un attimo agli scarafaggi che vengono schiacciati dai droni e vediamo che non sono scarafaggi ma esseri umani e bambini che implorano, non la tecnologia, ma un briciolo di vita.

Siria: ONG, settemila bambini in carcere, molti sono neonati

Roma, 7 apr. - (Adnkronos/Aki) - "Vi sono più di settemila bambini nelle carceri del regime siriano". È questo il bilancio tracciato dalla Lega siriana per i diritti umani, secondo cui di questi settemila "2.500 sono rinchiusi nel tristemente noto carcere militare di Saidnaya". Come spiega ad Aki-Adnkronos International il presidente della Lega,  Abdel Karim Rihawi, una parte di questi bambini "sono neonati dati alla luce in carcere in seguito agli stupri commessi dalle forze del regime, molti altri sono stati messi in prigione assieme alle loro mamme".

Tutti i diritti riservati agli autori e alle testate Da Metronews 8/04/2014 e  Ninofezzacinereporter.blogspot.com/.

Emergono fatti passati ed anche recenti. Come può un adulto, magari sposato con figli, torturare altri bambini che sono bambini come i suoi figli? Possibile che sia talmente ubriaco di droga e di odio da non capire più la differenza? Molte sono le associazioni Onlus o ONG che parlano di torture ai  bambini e si sa che non vanno per il sottile: la tortura non è una carezza è fare il più male o dolore possibile. Noi che siamo lontani non ci immaginiamo nemmeno cosa può succedere in quelle carceri, dove ci sono anche neonati; non ci si rende conto della bestialità che emerge in quegli uomini, assoldati proprio per far del male alla gente, per uccidere o far morire in modi sempre più esaltanti per loro, e per quei disgraziati che li comandano.

Non è bastata anche la dimostrazione che non sembra unica dell'uso dello ziclon b, sarin, ecc., ed assistere impietriti all'agonia orrenda di quei bambini che tentavano di respirare mentre morivano cercando quell'aria che i loro polmoni non riuscivano più a far entrare. Siamo ai limiti o sotto i limiti dell'umano. È una storia che si ripete da sempre e che non si ferma, anzi aumenta: mamme costrette a veder torturare ed uccidere i propri figli, stuprate poi più volte e torturate a loro volta in modi inumani. Sì, Dio esiste anche per loro e la sua mano speriamo si faccia sentire presto come ha promesso.

Ruanda 20 anni dopo: nel Villaggio della Riconciliazione

Pubblicato il 2 aprile 2014 alle ore 19:45 Fanpage (tutti i diritti riservati all'autore e alla testata)

Ruanda: vent'anni dopo il genocidio che nel 1994 provocò ottocentomila morti, Tutsi e Hutu - per anni acerrimi nemici - vivono ora insieme, nel villaggio della Riconciliazione. L'idea è di una Organizzazione non governativa cristiana che getta un seme di speranza in una terra martoriata da anni di scontri e conflitti."Veniamo aiutati per trasportare acqua e per costruire le nostre case - dice questa donna, Cecile, abitante del villaggio - non diciamo tu sei un Hutu o tu sei un Tutsi".La famiglia di Cecile è stata sterminata a colpi di machete. Solamente lei si è salvata; è scappata allo sterminio rifugiandosi nel vicino Burundi. Ora Cecile vive in questo villaggio, accanto agli assassini della sua famiglia. Come Frederick, giudicato colpevole dell'uccisione di nove persone da un tribunale popolare istituito per processare gli autori del genocidio."Prima di scusarmi - dice Frederick - il mio cuore non era in pace. Davanti ai miei occhi scorrevano sempre i volti delle persone che avevo ucciso. Ora non li vedo più".Lo sforzo delle autorità è di costruire una identità nazionale comune a tutti i ruandesi."Hanno la stessa cultura, la stessa lingua, la stessa fede in Dio. Ciò che gli Hutu, i Tutsi e i Twa hanno in comune è molto più importante di ciò che li divide", ha detto il segretario generale della Commissione Nazionale per l'Unità e la Riconciliazione in Ruanda. Ma il Villaggio della Riconciliazione resta purtroppo un'eccezione, in un Paese che ancora vive nell'ombra dello scontro e delle divisioni.

Questa relazione segue l'altra ed ad un genocidio come quello sopra descritto ora gli stessi nemici si riavvicinano,vivono assieme dopo ottocentomila morti e morti non con un colpo, ma con fendenti e torture. Si descrivevano anche bambini cui si tagliava la testa davanti alle loro mamme ed altro. Ora c'è il villaggio della riconciliazione, i nemici che si aiutano a vicenda per sopravvivere comunemente, un esempio di umanità che dovrebbe diffondersi nei territori non solo del Ruanda, ma in quasi tutto il mondo ancora sconvolto dall'odio. Questo villaggio non è opera di cristiani cui è insegnato il perdono, ma governativa. Credo che vada bene anche così. Se il bene è spontaneo, evviva anche a quel governo che riavvicina i nemici culturali e diffonde segni di ripresa umana. Si può ancora sperare nell'uomo futuro.

Leishmaniosi Aleppo - Testimonianza del dottor Naser Abuljud, podologo del campo di as-Salama, da  Sebastiano Fezza (diritti riservati all'autore e alle sue relazioni) 08/04/2014

L’allarme sulle drammatiche condizioni medico-sanitaria al campo di as-Salama, ad Aleppo, si ripete in molte altre località della Siria. Leishmaniosi, poliomelite, tifo, colera e altre malattie stanno dilagando tra la popolazione. L’unica speranza arriva dagli aiuti umanitari portati dalle ONG internazionali, ma neppure queste riescono a raggiungere le zone più isolate e quelle tenute sotto assedio.

Se si pensa che ormai in molti paesi del Mediterraneo la Leishmaniosi colpisce solo i cani, mentre in Siria sta devastando i visini e i corpi dei bambini, senza risparmiare adulti ed anziani, si comprende a che livello allarmante sia ormai arrivata la situazione e quanto siano drammaticamente urgenti interventi umanitari, su più livelli. Associazioni medico-sanitarie e ONG internazionali sono impegnate a portare in Siria aiuti, ma finché non si riuscirà ad ottenere un cessate il fuoco e a garantire l’apertura di corridoi umanitari, ci saranno intere aree del paese che rimarranno isolate e continueranno a diffondersi epidemie e ad aumentare i casi di malattie pericolose.

La leishmaniosi è una malattia parassitaria diffusa nei paesi tropicali, subtropicali e nell’Europa meridionale. È causata dall’infezione dei parassiti del genere Leishmania, che si diffondono con il morso dei pappataci (flebotomi) infetti, che sono piccoli insetti volanti più piccoli delle zanzare. Esistono diversi tipi di leishmaniosi, principalmente umana ed animale (in grado di colpire sopratutto i cani): le tipologie più diffuse tra gli uomini sono
la leishmaniosi cutanea, che provoca ferite alla pelle, e quella viscerale, che colpisce diversi organi interni (di norma la milza, il fegato e il midollo osseo)
da Farmaco e cura (diritti riservati agli autori e testata)

Certo che sarebbe solo una malattia comune nei cani, ma che si trasmette anche all'uomo in condizioni particolari e nei campi di raccolta profughi le condizioni igieniche non sono le migliori. È però una malattia che ha cura specifica, e se trascurata ha conseguenze gravi.
Certo che non è l'unica malattia presente nel campo accennato ed anche negli altri e ringraziamo proprio tanto quei medici che sono là a curare l'umanità che soffre per il solito odio, guerra, traffico di armi e di umani.

Siria, le torture nel libro di Mustafa Khalifa
di Shady Hamadi | 24 febbraio 2014

Più informazioni su: Bashar Al-assad, Damasco, Domenico Quirico, Fratelli Musulmani, Guerra in Siria, Siria, Torture.

Come molti siriani, Mustafa Khalifa aveva lasciato il Paese per studiare all’estero. Sono i primi anni ottanta. Mustafa, dopo diversi anni d’assenza, vuole tornare in Siria. È in un caffè dell’aeroporto di Parigi con Suzanne, la donna per la quale ha dei sentimenti. Sono giovani. Pensa di andare in Siria e, forse, dopo un po’, di tornare e trascorrere la vita con lei. Purtroppo non sa che gli anni più belli gli verranno rubati a cominciare dalle prossime ore: passerà tredici anni, tre mesi e tredici giorni nelle carceri siriane.

Appena sceso dall’aereo a Damasco viene arrestato. Un informatore dei servizi segreti siriani - onnipresenti in tutti i paesi dove c’è una comunità siriana - a Parigi ha mandato un rapporto, denunciando Khalifa di essere un Fratello Musulmano.

Khalifa è condotto alla sede dei servizi segreti. Portato nella stanza degli interrogatori, cominciano a picchiarlo: lo flagellano sui piedi, scorticandogli la carne. Khalifa si difende, disperato, dice “Sono cristiano, per giunta ateo. Come posso essere un Fratello?”. Niente, le torture continuano. Dopo la “festa di benvenuto” - così viene chiamato il primo ciclo di torture - Mustafa viene spedito al carceri di Tadmur, Palmira, dove la famiglia Assad ha eretto l’inferno in terra.

Khalifa, nel suo libro autobiografico “La conchiglia. I miei anni nelle prigioni siriane. Ed. Castelvecchi”, tradotto da Federica Pistono, racconta nei minimi dettagli le torture subite e viste. Ci fa entrare con lui nella cella di venticinque metri dove, con altre cento persone, è stato rinchiuso per anni. Una cella che è diventata un mondo assestante per quegli uomini trattati come bestie.

Siria, le torture nel libro di Mustafa Khalifa - Il Fatto Quotidiano (tutti i diritti riservati agli autori e alle testate) www.ilfattoquotidiano.it/2014/...di-mustafa-khalifa/891715/
Questo libro che denuncia quanto ha subito l'autore è un ennesimo grido oltre ha quelli che ha urlato quando lo torturavano e quanti vedeva torturare: non ci sono parole, solo urla contro quel regime che li tiene schiavi e li tratta da oggetti, contro quella comunità politica che non sa imporsi. Lo ha fatto Obama schierandosi con le sue navi quando molti siriani sono stati sterminati coi gas nervini già citati, ma il pericolo era di uccidere anche chi era nel posto dove non doveva essere. Cosa aspetta l'ONU e chi comanderebbe a far cessare questi orrori? Orrori sono pure quei disgraziati che dalle loro terre si ammassano sul litorale della Libia per attraversare il mare con l'incognita di come andrà a finire una volta che si arriva dall'altra parte del continente che non riserva le aspettative che hanno. Aiutiamoli come possiamo, hanno tutti troppa rabbia o disperazione in corpo e molte volte non possono essere aiutati perché chi comanda impedisce di portare gli aiuti per una sopravvivenza anche indecente.

Si suicida a 15 anni con un cocktail di farmaci, era vittima di bullismo
Aggiunto da Redazione il 5 aprile 2014.

Categoria Cronaca, Mondo (tutti i diritti riservati agli autori e alla testata)
Tags: 15 anni, bullismo, cocktail farmaci, simon brooks, suicidio FacebookTwitterGoogle1EmailYahoo - Fonte www.solonotizie24.it/.../

Per un anno intero ha sofferto poi ha deciso di farla finita. Simon Brooks aveva solo 15 anni e si è suicidato assumendo un cocktail letale di farmaci. La mamma ha dato la colpa del tragico gesto al bullismo che il ragazzo ha subito fin da bambino tanto da costringerlo a cambiare per ben tre volte la scuola elementare. La mamma negli ultimi tempi lo vedeva particolarmente ansioso e parla della sua paura di andare a scuola: “Gli attaccavano le gomme da masticare addosso, lo fermavano nei corridoi. La domenica mi pregava di non mandarlo a scuola il giorno dopo”.

Anche in Italia non siamo da meno: un altro episodio di bullismo (Parma) su un altro ragazzo di 15 anni da parte di quattro bulli che vengono ricercati (speriamo). Ma non è l'ora di finire di leggere questi episodi che non sono edificanti e che denotano solo che nel sistema educativo dei ragazzi e dei giovani c'è una grave carenza? È ben vero che molti insegnanti si prodigano a parlare di bullismo e ad istruire, ma non basta; presumo che vadano applicate leggi e pene più severe alla faccia di quei genitori che nascondono le malefatte dei loro figli.

La piovra del male è sempre in agguato, ma perché vogliamo il male degli altri? Non siamo capaci di stendere la mano anche con chi non ci fa vivere in pace. Qualcuno lo riceverà ora gli farà anche capire che c'è chi lo ama e forse c'era anche nella vita travagliata da studente, ma lui non sopportava più di essere preso in giro da cretini ed imbecilli che se ne trovano a mazzi ed in ogni campo e che godono nel vedere gli altri che soffrono e subiscono. Fino a  quando leggeremo queste cronache di perfidia umana e di morte per dispiacere, per paura ed umiliazione, fino a quando?


Pensiamo tutti assieme agli scarafaggi in cui si sono identificati quei bambini: non hanno le uova di Pasqua, né le colombe, né la loro testa è rintronata da auguri insulsi e vuoti; si sono identificati in quelli insetti che infestano le nostre case, perciò anche loro si sentono infestanti, ma si ribellano a quell'idea perché nella loro anima c'è l'embrione dell'essere e della vita umana che i droni non hanno, e gli scarafaggi possono essere chi  fabbrica e chi  usa i droni per il fine di distruggere, di ridurre l'umanità crescente a livelli di sopravvissuti.

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