«Non uccideteci come gli scarafaggi»:
gigantografia di bimbi in Pakistan contro i droni killer (foto http://notabugsplat.com/ di Laura
Bogliolo (tutti i diritti riservati agli autori e alle testate)
La
gigantografia di una foto di un bambino stesa su un prato accanto ad alcune
case. Siamo nel nord del Pakistan, area soggetta ad attacchi militari da parte
di droni americani. Vogliono ricordare che le vittime civili sono molte, che
quelli che sembrano insetti fuggire ritratti dagli obiettivi dei droni
potrebbero essere bambini.
L'iniziativa
è stata denominata not a bug splat: "a bug splat" è il termine
con cui si indica il gesto di spiaccicare un insetto.
Il progetto è
stato lanciato e messo in atto da un collettivo di artisti nella regione di
Khyber Pukhtoonkhw che ha creato il blog Notabugsplat per diffondere
l'iniziativa a cui ha preso parte anche l'artista francese Jr's.
Su Twitter la
campagna di sensibilizzazione si sta diffondendo con l'hashtag #notabugsplat
Il nome del
bimbo non è stato diffuso, ma sembra che sia un orfano: i suoi genitori sono
stati uccisi durante gli attacchi dei droni. Tempo fa Amnesty International
diffuse un rapporto sull'uccisione dei bimbi da parte dei droni in Pakistan. I
droni vengono usati dagli Usa nella lotta contro Al Qaeda.
twitter:
@l4ur4bogliolo.
Siamo
arrivati alle armi teleguidate di distruzione e senza guida umana che distrugge
e uccide. La solita lezione per adulti che hanno inventato ed usano senza che
nessuno intervenga a fermare quelle carneficine sempre guidate dall'uomo, ma
che terrorizzano di più, tanto che i bambini hanno capito che contro i droni
non c'è nulla da fare; quelli colpiscono indiscriminatamente e non c'è rimorso
alcuno da parte dell'uomo che colpisce, ma i bambini, già psicologicamente
distrutti, capiscono che ormai sono considerati degli scarafaggi, degli insetti
da schiacciare, ed il paragone è presto servito: dall'alto della visuale dei
droni, gli umani che fuggono sembrano punti neri che corrono in tutte le
direzioni, proprio come si potrebbero osservare dall'alto scarafaggi mentre li si
rincorrono per ucciderli.
È bruttissimo
e di un sapore nefasto il fatto che quei bambini non si sentono più futuri
uomini che devono crescere e armonizzarsi con il resto del mondo per far
sopravvivere l'umanità. No, sono degradati al ruolo di insetti da schiacciare e
la loro mentalità ormai è regredita oltre l'uomo rettile, ma all'evoluzione
primordiale della vita, anche se non si sono paragonati ai trilobiti (primi
esseri invertebrati viventi), ma a forme di insetti che l'uomo teme e considera
esseri che sono schiacciati dall'uomo come loro.
Il paragone
ha anche una morale alienante e disumana: noi bambini qui in Siria siamo
diventati insetti da schiacciare, senza la minima dignità di risparmio di
esseri viventi; per noi non c'è più speranza: “siamo scarafaggi” e come tali
siamo eliminati.
Questa è
un'ennesima denuncia di noi adulti disumanizzati e che sono già verso la nuova
evoluzione umana in regressione mentale verso una vita non più degna dell'uomo
“sapiens”, ma della distruzione della vita. Il loro grido “non uccideteci come
gli scarafaggi!” dovrebbe accompagnarci ogni sera quando ci addormentiamo,
affinché pensiamo un attimo agli scarafaggi che vengono schiacciati dai droni e
vediamo che non sono scarafaggi ma esseri umani e bambini che implorano, non la
tecnologia, ma un briciolo di vita.
Siria: ONG,
settemila bambini in carcere, molti sono neonati
Roma, 7 apr.
- (Adnkronos/Aki) - "Vi sono più di settemila bambini nelle carceri del
regime siriano". È questo il bilancio tracciato dalla Lega siriana per i
diritti umani, secondo cui di questi settemila "2.500 sono rinchiusi nel
tristemente noto carcere militare di Saidnaya". Come spiega ad
Aki-Adnkronos International il presidente della Lega, Abdel Karim Rihawi, una parte di questi
bambini "sono neonati dati alla luce in carcere in seguito agli stupri
commessi dalle forze del regime, molti altri sono stati messi in prigione
assieme alle loro mamme".
Tutti i diritti
riservati agli autori e alle testate Da Metronews 8/04/2014 e Ninofezzacinereporter.blogspot.com/.
Emergono
fatti passati ed anche recenti. Come può un adulto, magari sposato con figli, torturare
altri bambini che sono bambini come i suoi figli? Possibile che sia talmente
ubriaco di droga e di odio da non capire più la differenza? Molte sono le
associazioni Onlus o ONG che parlano di torture ai bambini e si sa che non vanno per il sottile:
la tortura non è una carezza è fare il più male o dolore possibile. Noi che
siamo lontani non ci immaginiamo nemmeno cosa può succedere in quelle carceri,
dove ci sono anche neonati; non ci si rende conto della bestialità che emerge
in quegli uomini, assoldati proprio per far del male alla gente, per uccidere o
far morire in modi sempre più esaltanti per loro, e per quei disgraziati che li
comandano.
Non
è bastata anche la dimostrazione che non sembra unica dell'uso dello ziclon b,
sarin, ecc., ed assistere impietriti all'agonia orrenda di quei bambini che
tentavano di respirare mentre morivano cercando quell'aria che i loro polmoni
non riuscivano più a far entrare. Siamo ai limiti o sotto i limiti dell'umano. È
una storia che si ripete da sempre e che non si ferma, anzi aumenta: mamme
costrette a veder torturare ed uccidere i propri figli, stuprate poi più volte
e torturate a loro volta in modi inumani. Sì, Dio esiste anche per loro e la
sua mano speriamo si faccia sentire presto come ha promesso.
Ruanda 20
anni dopo: nel Villaggio della Riconciliazione
Pubblicato il 2 aprile 2014 alle ore 19:45 Fanpage (tutti i diritti riservati
all'autore e alla testata)
Ruanda: vent'anni dopo il genocidio
che nel 1994 provocò ottocentomila morti, Tutsi e Hutu - per anni acerrimi
nemici - vivono ora insieme, nel villaggio della Riconciliazione. L'idea è di
una Organizzazione non governativa cristiana che getta un seme di speranza in
una terra martoriata da anni di scontri e conflitti."Veniamo aiutati per
trasportare acqua e per costruire le nostre case - dice questa donna, Cecile,
abitante del villaggio - non diciamo tu sei un Hutu o tu sei un Tutsi".La
famiglia di Cecile è stata sterminata a colpi di machete. Solamente lei si è
salvata; è scappata allo sterminio rifugiandosi nel vicino Burundi. Ora Cecile
vive in questo villaggio, accanto agli assassini della sua famiglia. Come
Frederick, giudicato colpevole dell'uccisione di nove persone da un tribunale
popolare istituito per processare gli autori del genocidio."Prima di
scusarmi - dice Frederick - il mio cuore non era in pace. Davanti ai miei occhi
scorrevano sempre i volti delle persone che avevo ucciso. Ora non li vedo
più".Lo sforzo delle autorità è di costruire una identità nazionale comune
a tutti i ruandesi."Hanno la stessa cultura, la stessa lingua, la stessa
fede in Dio. Ciò che gli Hutu, i Tutsi e i Twa hanno in comune è molto più
importante di ciò che li divide", ha detto il segretario generale della
Commissione Nazionale per l'Unità e la Riconciliazione in Ruanda. Ma il
Villaggio della Riconciliazione resta purtroppo un'eccezione, in un Paese che
ancora vive nell'ombra dello scontro e delle divisioni.
Questa
relazione segue l'altra ed ad un genocidio come quello sopra descritto ora gli
stessi nemici si riavvicinano,vivono assieme dopo ottocentomila morti e morti
non con un colpo, ma con fendenti e torture. Si descrivevano anche bambini cui
si tagliava la testa davanti alle loro mamme ed altro. Ora c'è il villaggio
della riconciliazione, i nemici che si aiutano a vicenda per sopravvivere
comunemente, un esempio di umanità che dovrebbe diffondersi nei territori non
solo del Ruanda, ma in quasi tutto il mondo ancora sconvolto dall'odio. Questo
villaggio non è opera di cristiani cui è insegnato il perdono, ma governativa.
Credo che vada bene anche così. Se il bene è spontaneo, evviva anche a quel
governo che riavvicina i nemici culturali e diffonde segni di ripresa umana. Si
può ancora sperare nell'uomo futuro.
Leishmaniosi
Aleppo - Testimonianza del dottor Naser Abuljud, podologo del campo di
as-Salama, da Sebastiano Fezza (diritti riservati
all'autore e alle sue relazioni) 08/04/2014
L’allarme
sulle drammatiche condizioni medico-sanitaria al campo di as-Salama, ad Aleppo, si ripete in molte altre località
della Siria. Leishmaniosi, poliomelite, tifo, colera e altre malattie stanno
dilagando tra la popolazione. L’unica speranza arriva dagli aiuti umanitari
portati dalle ONG internazionali, ma neppure queste riescono a raggiungere le
zone più isolate e quelle tenute sotto assedio.
Se si pensa
che ormai in molti paesi del Mediterraneo la Leishmaniosi colpisce solo i cani,
mentre in Siria sta devastando i visini e i corpi dei bambini, senza
risparmiare adulti ed anziani, si comprende a che livello allarmante sia ormai
arrivata la situazione e quanto siano drammaticamente urgenti interventi
umanitari, su più livelli. Associazioni medico-sanitarie e ONG internazionali
sono impegnate a portare in Siria aiuti, ma finché non si riuscirà ad ottenere
un cessate il fuoco e a garantire l’apertura di corridoi umanitari, ci saranno
intere aree del paese che rimarranno isolate e continueranno a diffondersi
epidemie e ad aumentare i casi di malattie pericolose.
La
leishmaniosi è una malattia parassitaria diffusa nei paesi tropicali,
subtropicali e nell’Europa meridionale. È causata dall’infezione dei parassiti del genere
Leishmania, che si diffondono con il morso dei pappataci (flebotomi) infetti,
che sono piccoli insetti volanti più piccoli delle zanzare. Esistono diversi
tipi di leishmaniosi, principalmente umana ed animale (in grado di colpire
sopratutto i cani): le tipologie più diffuse tra gli uomini sono
la
leishmaniosi cutanea, che provoca ferite alla pelle, e quella viscerale, che
colpisce diversi organi interni (di norma la milza, il fegato e il midollo
osseo)
da Farmaco e cura (diritti
riservati agli autori e testata)
Certo
che sarebbe solo una malattia comune nei cani, ma che si trasmette anche
all'uomo in condizioni particolari e nei campi di raccolta profughi le
condizioni igieniche non sono le migliori. È però una malattia che ha cura
specifica, e se trascurata ha conseguenze gravi.
Certo
che non è l'unica malattia presente nel campo accennato ed anche negli altri e
ringraziamo proprio tanto quei medici che sono là a curare l'umanità che soffre
per il solito odio, guerra, traffico di armi e di umani.
Siria, le
torture nel libro di Mustafa Khalifa
di Shady
Hamadi | 24 febbraio 2014
Più
informazioni su: Bashar Al-assad, Damasco, Domenico Quirico, Fratelli
Musulmani, Guerra in Siria, Siria, Torture.
Come molti
siriani, Mustafa Khalifa aveva lasciato il Paese per studiare all’estero. Sono
i primi anni ottanta. Mustafa, dopo diversi anni d’assenza, vuole tornare in
Siria. È in un caffè dell’aeroporto di Parigi con Suzanne, la donna per la
quale ha dei sentimenti. Sono giovani. Pensa di andare in Siria e, forse, dopo
un po’, di tornare e trascorrere la vita con lei. Purtroppo non sa che gli anni
più belli gli verranno rubati a cominciare dalle prossime ore: passerà tredici
anni, tre mesi e tredici giorni nelle carceri siriane.
Appena sceso
dall’aereo a Damasco viene arrestato. Un informatore dei servizi segreti
siriani - onnipresenti in tutti i paesi dove c’è una comunità siriana - a
Parigi ha mandato un rapporto, denunciando Khalifa di essere un Fratello
Musulmano.
Khalifa è
condotto alla sede dei servizi segreti. Portato nella stanza degli
interrogatori, cominciano a picchiarlo: lo flagellano sui piedi, scorticandogli
la carne. Khalifa si difende, disperato, dice “Sono cristiano, per giunta ateo.
Come posso essere un Fratello?”. Niente, le torture continuano. Dopo la “festa
di benvenuto” - così viene chiamato il primo ciclo di torture - Mustafa viene
spedito al carceri di Tadmur, Palmira, dove la famiglia Assad ha eretto
l’inferno in terra.
Khalifa, nel
suo libro autobiografico “La conchiglia. I miei anni nelle prigioni siriane. Ed.
Castelvecchi”, tradotto da Federica Pistono, racconta nei minimi dettagli le
torture subite e viste. Ci fa entrare con lui nella cella di venticinque metri
dove, con altre cento persone, è stato rinchiuso per anni. Una cella che è
diventata un mondo assestante per quegli uomini trattati come bestie.
Siria, le
torture nel libro di Mustafa Khalifa - Il Fatto Quotidiano (tutti i diritti
riservati agli autori e alle testate) www.ilfattoquotidiano.it/2014/...di-mustafa-khalifa/891715/
Questo
libro che denuncia quanto ha subito l'autore è un ennesimo grido oltre ha
quelli che ha urlato quando lo torturavano e quanti vedeva torturare: non ci
sono parole, solo urla contro quel regime che li tiene schiavi e li tratta da
oggetti, contro quella comunità politica che non sa imporsi. Lo ha fatto Obama
schierandosi con le sue navi quando molti siriani sono stati sterminati coi gas
nervini già citati, ma il pericolo era di uccidere anche chi era nel posto dove
non doveva essere. Cosa aspetta l'ONU e chi comanderebbe a far cessare questi
orrori? Orrori sono pure quei disgraziati che dalle loro terre si ammassano sul
litorale della Libia per attraversare il mare con l'incognita di come andrà a
finire una volta che si arriva dall'altra parte del continente che non riserva
le aspettative che hanno. Aiutiamoli come possiamo, hanno tutti troppa rabbia o
disperazione in corpo e molte volte non possono essere aiutati perché chi
comanda impedisce di portare gli aiuti per una sopravvivenza anche indecente.
Si suicida
a 15 anni con un cocktail di farmaci, era vittima di bullismo
Aggiunto da
Redazione il 5 aprile 2014.
Categoria
Cronaca, Mondo (tutti i diritti riservati agli autori e alla testata)
Tags: 15
anni, bullismo, cocktail farmaci, simon brooks, suicidio
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Per un anno
intero ha sofferto poi ha deciso di farla finita. Simon Brooks aveva solo 15
anni e si è suicidato assumendo un cocktail letale di farmaci. La mamma ha dato
la colpa del tragico gesto al bullismo che il ragazzo ha subito fin da bambino
tanto da costringerlo a cambiare per ben tre volte la scuola elementare. La
mamma negli ultimi tempi lo vedeva particolarmente ansioso e parla della sua
paura di andare a scuola: “Gli attaccavano le gomme da masticare addosso, lo
fermavano nei corridoi. La domenica mi pregava di non mandarlo a scuola il
giorno dopo”.
Anche in
Italia non siamo da meno: un altro episodio di bullismo (Parma) su un altro
ragazzo di 15 anni da parte di quattro bulli che vengono ricercati (speriamo).
Ma non è l'ora di finire di leggere questi episodi che non sono edificanti e
che denotano solo che nel sistema educativo dei ragazzi e dei giovani c'è una
grave carenza? È ben vero che molti insegnanti si prodigano a parlare di
bullismo e ad istruire, ma non basta; presumo che vadano applicate leggi e pene
più severe alla faccia di quei genitori che nascondono le malefatte dei loro
figli.
La piovra del
male è sempre in agguato, ma perché vogliamo il male degli altri? Non siamo
capaci di stendere la mano anche con chi non ci fa vivere in pace. Qualcuno lo
riceverà ora gli farà anche capire che c'è chi lo ama e forse c'era anche nella
vita travagliata da studente, ma lui non sopportava più di essere preso in giro
da cretini ed imbecilli che se ne trovano a mazzi ed in ogni campo e che godono
nel vedere gli altri che soffrono e subiscono. Fino a quando leggeremo queste cronache di perfidia
umana e di morte per dispiacere, per paura ed umiliazione, fino a quando?
Pensiamo
tutti assieme agli scarafaggi in cui si sono identificati quei bambini: non
hanno le uova di Pasqua, né le colombe, né la loro testa è rintronata da auguri
insulsi e vuoti; si sono identificati in quelli insetti che infestano le nostre
case, perciò anche loro si sentono infestanti, ma si ribellano a quell'idea perché
nella loro anima c'è l'embrione dell'essere e della vita umana che i droni non
hanno, e gli scarafaggi possono essere chi
fabbrica e chi usa i droni per il
fine di distruggere, di ridurre l'umanità crescente a livelli di sopravvissuti.
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