di Giorgio Gagliardi

mercoledì 31 gennaio 2018

Tregue umanitarie false ed assassini veri; compare qualche atto di umanità, speranza del futuro/False Humanitarian Ceasefires and Real Murders. Some Human Acts Offer Hope for the Future

1) Due buone notizie

Finalmente due notizie che fanno onore all’umanità che è presente in tutti, specie nei bambini e in chi si ravvede e compie una giustizia vera, anche se potenzialmente circola sempre la solita corruzione e le false, notizie che si tentano di contenere o di fermare.
Sono citati articoli che riguardano la tregua umanitaria in paesi sfiancati dalla guerra ed una bella notizia che la Svizzera onorerà certamente è la restituzione dei soldi dell’ex dittatore nigeriano ai poveri del paese. La Svizzera ha fatto un grande passo: speriamo che prendano le misure necessarie perché i soldi non finiscano nelle tasche di qualche impiegato o politico per così rendere vana la giustizia della Svizzera di rendere i soldi a coloro cui sono stati rubati. Grazie al Governo Svizzero ed alla sua umanità.


1a) Siria, prima tregua umanitaria “Donne e bambini via da Homs”

La Stampa - 26.01.2018

Annuncio di Brahimi da Ginevra: il regime autorizza l’evacuazione. Ma per il Paese governato da Assad si affaccia l’ipotesi spartizione

Dopo due giorni di difficili colloqui, la conferenza di Ginevra2 per la Siria sembra aver sortito il primo, limitato risultato. Un accordo è stato raggiunto per consentire alle donne e ai bambini di lasciare la città vecchia di Homs, dove i ribelli hanno le loro basi, sottoposta ad un assedio governativo da un anno e mezzo. 

«Spero - ha detto il negoziatore dell’Onu e della Lega Araba, Lakhdar Brahimi in una conferenza stampa alla fine dei colloqui odierni - che stiamo arrivando a una soluzione per tutti i civili a Homs. Le donne e i bambini sono liberi di partire immediatamente. Anche gli uomini lo potranno fare, ma prima il governo richiede una lista dei nomi». 

L’intento di Brahimi è quello di posporre per il momento le discussioni sul futuro politico della Siria per evitare una rottura immediata delle trattative e di concentrarsi su questioni pratiche che aiutino a costruire la fiducia reciproca. «Certo - ha ammesso - procediamo lentamente, ma qualche volta questo è il modo migliore per procedere velocemente». I negoziati dovrebbero continuare in questo modo fino a venerdì prossimo, 31 gennaio, per dare poi spazio a una pausa di nove giorni, secondo quanto hanno detto all’ANSA fonti della Coalizione dell’opposizione presenti in Svizzera. I colloqui di oggi dovevano affrontare anche la questione dei prigionieri e delle persone rapite. «Ma abbiamo dedicato la maggior parte del nostro tempo alla questione di Homs», ha detto Brahimi. Cioè sia all’evacuazione dei civili intrappolati dai combattimenti sia ad un primo convoglio umanitario che l’Onu ha chiesto alle autorità di poter fare entrare nella parte assediata della città. Ma l’autorizzazione non c’è ancora. 

Il risultato raggiunto oggi segna un punto a favore dei ribelli, che premevano per far iniziare il cessate il fuoco proprio da Homs mentre il regime spingeva per dare la precedenza ad Aleppo, facendo prevalere opposte necessità tattiche: sono le città in cui ognuna delle parti è più in difficoltà. Come spiega oggi su La Stampa dall’inviato a Ginevra Maurizio Molinari, dopo quasi tre anni di guerra civile la Siria è un Paese sempre più spaccato. Mentre Assad guadagna terreno in aree strategiche - Damasco, il confine libanese e la periferia di Aleppo (la città simbolo della carneficina siriana) - , i ribelli hanno accresciuto il controllo a nord est. Ma devono vedersela con le proprie divisioni interne, prima fra tutte le lotte tra moderati e jihadisti di Al Nusra e l’assoluta superiorità aerea e tecnologica del regime. Una situazione intricata, difficile da sciogliere, che potrebbe incanalare i negoziati verso una svolta a sorpresa. Al tavolo di Ginevra si valuterebbe infatti l’ipotesi di spartizione del Paese in tre aree: una provincia Alawita in mano al regime di Damasco, una provincia Sunnita guidata dai ribelli e una possibile provincia curda a nord est. Ecco la mappa che fornisce una radiografia nitida dei possibili scenari futuri, frutto delle informazioni che più Paesi hanno trasmesso all’Onu.  

Ma mentre vanno avanti i colloqui, sul terreno non si fermano i combattimenti. Scontri sono avvenuti anche oggi in alcuni quartieri periferici di Damasco e di Aleppo. Mentre sette persone, riferisce l’agenzia governativa Sana, sono rimaste ferite da un colpo di mortaio lanciato dai ribelli che si è abbattuto sul quartiere cristiano di Bab Tuma, nel centro della capitale. Ad Aleppo, secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, un ragazzo di 15 anni è rimasto ucciso da un cecchino delle forze lealiste, dopo che ieri 13 persone, di cui sei bambini, erano morte in un raid aereo governativo nel quartiere di Al Salhin.  

Raid israeliano a Latakia  
In Siria, nella notte, si è verificato una forte esplosione nella città costiera di Latakia. Potrebbe trattarsi di un raid israeliano pr colpire un deposito di armi. Già ad ottobre scorso i jet israeliani avevano colpito la città.  


Ricordiamo questo articolo del 9 agosto 2016:

Siria, Onu chiede tregua umanitaria ad Aleppo: due milioni di persone senza acqua e luce

09/08/2016 10:35 CEST | Aggiornato 09/08/2016 10:36 CEST

Oltre due milioni di civili ad Aleppo, nelle aree sia sotto il controllo dei ribelli sia dei governativi, sono senza elettricità e senza accesso alla rete idrica a causa di bombardamenti che hanno colpito gli impianti di distribuzione negli ultimi giorni. Lo afferma l'Onu, che chiede una tregua umanitaria di 48 ore perché siano riparati gli impianti e ricostituite le scorte di cibo e medicinali per la popolazione.

In un comunicato ricevuto dall'ANSA, Yacoub el Hillo, coordinatore residente dell'Onu per gli affari umanitari in Siria, e Kevin Kennedy, coordinatore umanitario regionale per la crisi siriana, sottolineano che, dopo l'interruzione della rete idrica, "l'acqua dei pozzi e delle cisterne non è nemmeno lontanamente sufficiente per rispondere alle esigenze della popolazione". El Hillo e Kennedy aggiungono che nelle ultime settimane vi sono stati "innumerevoli civili uccisi e feriti" nei bombardamenti da entrambe le parti, mentre "continuano gli attacchi su ospedali e cliniche".

"Le Nazioni Unite - sottolineano ancora i due rappresentanti - sono pronte ad assistere la popolazione civile di Aleppo, una città ora unita nella sofferenza. I civili, compresi i malati e i feriti, devono essere raggiunti con operazioni per le vie più rapide attraverso le linee e attraverso la frontiera dalla Turchia. Devono essere assistiti senza discriminazioni e ovunque si trovino. Tutte le parti devono garantire la sicurezza, la salvezza e la dignità di tutti i civili".

Esperti militari russi e americani stanno discutendo a Ginevra, alla presenza di rappresentanti dell'Onu, della possibilità di introdurre un regime di cessate il fuoco di 48 ore ad Aleppo per consentire di aiutare la popolazione civile: lo fa sapere il rappresentante della Russia presso le Nazioni Unite a Ginevra, Alexiei Borodavkin. Secondo Borodavkin, inoltre, si discute anche della "lotta congiunta contro il terrorismo"


Ricordiamo anche questo articolo del 4 dicembre 2017:

Yemen: l'Onu invoca tregua umanitaria

'Insostenibile la situazione dei civili, impossibile aiutarli'

(ANSA) - GINEVRA, 4 DIC - Estremamente preoccupato per il livello di violenza a Sanaa, capitale yemenita, il coordinatore umanitario dell'Onu per lo Yemen ha chiesto oggi un'immediata pausa umanitaria dei combattimenti nella città.

 "Invito tutte le parti coinvolte nel conflitto a consentire con urgenza una pausa umanitaria martedì 5 dicembre tra le 10.00 e le 16.00 per permettere ai civili di lasciare le loro case e cercare assistenza e protezione e per facilitare gli spostamenti degli operatori umanitari", ha affermato il coordinatore umanitario per lo Yemen, Jamie McGoldrick, in una dichiarazione resa nota a Ginevra.

Le strade della città sono diventate campi di battaglia e le persone sono intrappolate nelle loro case, incapaci di muoversi per cercare salvezza, assistenza medica, cibo, carburante e acqua potabile, afferma McGoldrick. Anche le ambulanze e le squadre mediche e gli operatori non possono operare a causa degli scontri, ha aggiunto.

Non si sa bene se queste richieste di tregua da parte dell’ONU abbiano funzionato: si riferiscono a civili martoriati soprattutto nello Yemen e nella capitale Sanaa, ma ci si può sperare poco perché i controlli mettono a repentaglio anche la vita degli osservatori.

Il 6 dicembre del 2017 compaiono i seguenti articoli:

Onu boccia legge contro tortura in Italia: non conforme, cambiatela

La legge approvata dall'Italia per istituire il reato di tortura non è conforme alle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite e deve essere modificata. Lo afferma l'apposito Comitato Onu che ha presentato a Ginevra le proprie conclusioni. Tra i rilievi mossi all'Italia, che ha presentato la propria relazione a novembre, anche alcuni aspetti della politica migratoria, tra cui l'accordo con la Libia ed il regime carcerario duro del 41bis.

L'Onu boccia la legge sulla tortura in Italia: “Non è conforme, va cambiata”

Il Comitato delle Nazioni Unite ha chiesto al governo italiano di modificare la norma, perché ritiene incompleta la definizione contenuta nel testo“
Secondo il Comitato Onu, la legge approvata dall'Italia per istituire il reato di tortura non è conforme alle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite. Nelle conclusioni presentate a Ginevra sulla relazione presentata dall'Italia a Novembre, il Comitato ritiene che la definizione contenuta nella legge "sia incompleta in quanto non menziona lo scopo dell'atto in questione". Inoltre tale reato non include informazioni specifiche sull'autore, con riferimenti ai pubblici ufficiali. La legge contiene anche una "definizione significativamente più ridotta di quella contenuta nella Convenzione e stabilisce una soglia più elevata per il reato".

La richiesta di modifica

Per questi motivi l'apposito Comitato dell'Onu ha chiesto all'Italia di"portare il contenuto dell'articolo 613-bis del Codice Penale in linea con l'articolo 1 della Convenzione, eliminando tutti gli elementi superflui e identificando l'autore e i fattori motivanti o le ragioni per l'uso della tortura". Il principale problema, secondo gli esperti, sta nelle discrepanze tra la definizione della Convenzione e quella incorporata nel diritto interno, una differenza che potrebbe aprire le porte a potenziali impunità. L'Onu si è anche raccomandato con l'Italia che le denunce per tortura, maltrattamenti e uso eccessivo della forza siano esaminate in modo imparziale, così che le vittime possano ottenere giustizia.

41 bis e migranti

Anche sul regime di detenzione speciale, meglio conosciuto come 41 bis, l'Italia dovrà allinerasi con gli standard internazionali sui diritti umani. Gli elogi sono arrivati invece per il piano d'azione contro la tratta e lo sfruttamento degli esseri umani e per combattere la violenza contro le donne. Gli esperti hanno apprezzato in particolar modo gli sforzi compiuti dall'Italia per fronteggiare l'arrivo, sempre più massiccio, di richiedenti asilo, chiedendo però al governo italiano di garantire che le procedure accelerate previste dagli accordi di riammissione e dalla legge siano soggette a "una valutazione approfondita caso e per caso dei rischi di violazione del principio di non respingimento".


Chissà perché gli italiani, o meglio i politici italiani, debbono sempre essere rimproverati  e non per bazzecole, perché la legge sulla tortura è una futura legge molto seria che dovrebbe salvaguardare i cittadini in primis e poi regolare l’apparato statale che ad esempio ha fatto quel macello al G8 di Genova. Sembrerebbe che invece c’è qualcosa che non tutela i cittadini, ma leggere ed interpretare certe leggi è complicato: Chi le scrive usa linguaggi, a volte, per nulla comprensibili alla gente comune che magari non ha il PC o altri strumenti per essere informati.

1b) La Svizzera restituisce ai nigeriani i soldi dell'ex dittatore. "Ma devono andare ai poveri"

Confederazione, Nigeria e Banca Mondiale si sono accordate per far rientrare a Lagos 321 milioni di dollari, intascati dal defunto dittatore, Sani Abacha. Quest'ultimo, al potere dal '93 al '98, depredò la banca centrale del suo paese di 2,2 miliardi di dollari

di FRANCO ZANTONELLI - 08 Dicembre 201

l motto spesso travisato di fornire gli aiuti alle popolazioni in maggiore difficoltà direttamente nelle loro società e sui loro territori si può mettere in pratica anche restituendo loro i capitali di cui si sono impossessati dittatori senza scrupoli. A condizione che quei soldi servano, davvero, a migliorare le condizioni di vita di popolazioni che sono state spogliate per anni.

È con questo spirito che Svizzera, Nigeria e Banca Mondiale si sono accordate per far rientrare a Lagos 321 milioni di dollari, intascati dal defunto dittatore, Sani Abacha. Quest'ultimo, al potere dal '93 al '98, depredò la banca centrale del suo paese di 2,2 miliardi di dollari. Parte dei 321 milioni che rientreranno in Nigeria, grazie ad un accordo che la Confederazione elvetica e le autorità dello Stato africano sottoscrissero nel marzo dello scorso anno, oltre che al saccheggio dell'istituto di emissione, va fatta risalire a una gigantesca mazzetta che sarebbe stata versata all'entourage di Abacha, per la costruzione di un complesso siderurgico, da parte del gruppo tedesco Ferrostal.

"La restituzione dei fondi- dichiarò lo scorso anno il ministro degli Esteri elvetico, Didier Burkhalter -avverrà con la supervisione della Banca Mondiale, per fare in modo che essi vengano impiegati a sostegno di programmi sociali, destinati alla popolazione nigeriana". È dal 2015 che l'attuale presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, si è impegnato a recuperare quelle che ha definito "incredibili somme di denaro", sottratte al suo paese nell'arco di decenni.

In effetti, dal 2005 ad oggi, solo la Svizzera ha già fatto rientrare, nelle casse nigeriane, circa un miliardo di dollari, frutto della corruzione. Per restituire i 321 milioni di cui stiamo parlando, occultati come ultimo rifugio in Lussemburgo, dopo essere transitati dalla Germania, Berna ha impiegato 15 anni.

(Continua su: http://www.repubblica.it/economia/2017/12/08/news/la_svizzera_restituisce_ai_nigeriani_i_soldi_dell_ex_dittatore_ma_devono_andare_ai_poveri_-183141958/?rss)

2) Alto Adige, auto finisce in un dirupo: bimbo eroe di 6 anni chiede aiuto e salva la mamma


Alto Adige, auto finisce in un dirupo: bimbo eroe di 6 anni chiede aiuto e salva la mamma
E’ successo la sera del 23 dicembre su una strada di montagna in Val d’Ega. La vettura sulla quale viaggiavano è uscita di strada forse a causa del manto ghiacciato: il bimbo, illeso, mentre la madre era incastrata tra le lamiere, è riuscito ad allertare i soccorsi salvandole la vita.

24 DICEMBRE 2017 14:29 di Ida Artiaco

Tragedia sfiorata in Alto Adige, dove una donna di 38 anni è stata salvata dal suo bambino, di soli 6 anni, in seguito a un drammatico incidente stradale. E' successo sabato 23 dicembre su una strada provinciale di montagna in Val d'Ega, che collega San Valentino in Campo a Bolzano intorno alle 18:00. L'auto sulla quale viaggiavano la mamma e il figlio è, infatti, uscita di strada probabilmente in un punto dove l'asfalto era particolarmente ghiacciato, finendo la sua corsa in una scarpata dopo circa 150 metri.

La 38enne, di origini brasiliane, è rimasta incastrata tra le lamiere della vettura e, ferita, non riusciva a muoversi. Il figlio, però, illeso, non si è perso d'animo, ha impugnato il cellulare e ha chiamato il 112, spiegando cosa era appena successo e dando indicazioni utili a individuare il punto in cui erano finiti. A questo punto, si è messa in moto la macchina dei soccorsi, tra Aiut Alpin, vigili del fuoco volontari, Croce Bianca, soccorso alpino, carabinieri, per una operazione di recupero durata molte ore fino a notte inoltrata.

La mamma è stata trasportata in ospedale a Bolzano, dove le è stato diagnostica un politrauma ma stando a quanto riportato dai medici non sarebbe in pericolo di vita. Gli inquirenti sono comunque a lavoro per verificare le cause dell'incidente che sarebbe potuto finire in dramma senza l'intervento del piccolo eroe.

Ida Artiaco

(Continua su: https://www.fanpage.it/alto-adige-auto-finisce-in-un-dirupo-bimbo-eroe-di-6-anni-chiede-aiuto-e-salva-la-mamma/ - http://www.fanpage.it/)


Ecco un’altra notizia bella, e soprattutto, come al solito, la lezione è data da un bambino di sei anni agli adulti litigiosi e bugiardi. Il bambino di sei anni assiste ad un incidente della mamma che è caduta e non riusciva a muoversi. Il bambino non si è perso d’animo ed ha preso il cellulare della mamma ed ha chiamato i soccorsi che hanno trovato la mamma assistita dal bambino. Certamente non gli daranno una medaglia, perché le hanno già date a politici e circonvicini che aspettano i riconoscimenti. Lui ha pensato a sua mamma e basta. Questa non è l’unica lezione impartitaci dall’infanzia che soccorre i propri genitori infortunati, ed è bruciante per noi adulti ricevere queste lezioni di umanità che ci svergognano della nostra insensibilità e solo voglia di fare guerre, anche se c’è chi predica la pace, ma non è molto ben visto da tanti.

Ringraziamo quel bambino che si è mostrato umano e non ha pensato a salvare se stesso, ma la sua mamma. Grazie ancora e tanti auguri di ogni bene e di crescere sempre con tanta umanità: vedrai che Chi ti ricompensa c’è; sei già scritto in un libro inconsutile del Creatore. Ciao a te ed a tutti quei bambini che salvano gli adulti: ce ne sono tanti ed in tutto il mondo.

Finalmente degli articoli di buona stampa che non ci somministrano sempre notizie da paura, ma qualche volta ci parlano di un atto di nobiltà di cuore e di vera giustizia.

Grazie a tutti quei veri volontari che aiutano gli indigenti (non chiamiamoli sempre poveri, che è anche un modo offensivo di etichettare le persone adulti e bambini.

3) Filippine, il tifone Tembin flagella Mindanao: 240 morti, oltre un centinaio i dispersi

Il tifone Tembin ha colpito duramente il sud delle Filippine, flagellando in particolare l’isola più grande dell’arcipelago, Mindanao

25 dicembre 2017 10:45 | Danilo Loria

Il tifone Tembin ha colpito duramente il sud delle Filippine, flagellando in particolare l’isola più grande dell’arcipelago, Mindanao, abitata da 20 milioni di persone, con raffiche di vento a 125 km/h e piogge torrenziali, spazzando via villaggi di montagna. Le vittime al momento sarebbero almeno 240. I dispersi sono oltre un centinaio. Migliaia di sfollati trascorreranno il Natale in tenda. Oltre 20.800 famiglie hanno trovato ospitalità in 26 rifugi nel sud, mentre altre 16.500 famiglie hanno trovato riparo dai parenti. La violenta tempesta tropicale ha provocato frane e alluvioni soprattutto nelle province di Lanao del Norte e Lanao del Sur e nella penisola di Zamboanga.

(Per approfondire: http://www.strettoweb.com/2017/12/filippine-il-tifone-tembin-flagella-mindanao-240-morti-oltre-un-centinaio-i-dispersi/641245/#qH3Xsy1zVXZDzhZA.99).

Anche la natura si fa sentire con violenza lasciando sul terreno morti e devastazione. Si tenta invano di governare la natura con tutti i satelliti che vogliamo, ma lei opera per conto proprio. Nelle Filippine i morti accertati sono attorno ai 300, i dispersi sono approssimativamente un centinaio e coloro che sono fuggiti dalle loro abitazioni circa 70.000. Questi i dati, che vengono pubblicati in moltissimi articoli, presentano cifre che vanno aggiornandosi in peggio.

Si spera in una umanità che soccorra chi ha subito disgrazie o danni e che è esposto ad altre silenziose catastrofi che potrebbero succedere e che succedono.

Grazie ancora a quei volontari che si sono attivati nel soccorso di quelle popolazioni senza chiedere nulla e che sono sul posto, perseguitati anche loro dalla furia degli elementi che si succedono annualmente senza provocarli: una terribile e imprevedibile piaga che colpisce tutti quelli che non sono potuti fuggire per tempo.

Per fortuna nell’umanità c’è ancora chi aiuta senza chiedere nulla ed esponendosi a pericoli imprevedibili e soprattutto reali, non virtuali.

4) DIRITTI NEGATI - Infanzia nel mondo: Unicef, nel 2017 sempre più bambini “sotto attacco”

 

28 dicembre 2017 @ 11:07

 

Nei conflitti in tutto il mondo i bambini sono stati utilizzati come scudi umani, uccisi, mutilati e reclutati per combattere. Stupro, matrimonio forzato, rapimento e riduzione in schiavitù sono diventate delle tattiche normali nei conflitti in Iraq, Siria, Yemen, Nigeria, Sud Sudan e Myanmar. Lo afferma l’Unicef stilando un bilancio del 2017.

 

Nei primi 9 mesi di quest’anno in Afghanistan circa 700 bambini sono stati uccisi. Nel Nord Est della Nigeria e in Camerun, Boko Haram ha costretto almeno 135 bambini ad agire in attacchi bomba suicidi; in Repubblica Centrafricana un rilevante incremento delle violenze ha causato la morte, lo stupro, il rapimento e il reclutamento da parte di gruppi armati di diversi bambini. Nella regione del Kasai, nella Repubblica Democratica del Congo, le violenze hanno costretto 850mila bambini a lasciare le proprie case. In Iraq e in Siria, i bambini sono stati intrappolati sotto assedio e diventati obiettivi di cecchini. In Myanmar, i bambini Rohingya hanno sofferto e assistito a terribili e diffuse violenze. In Sud Sudan oltre 19.000 bambini sono stati reclutati da forze e gruppi armati e oltre 2.300 bambini sono stati uccisi o feriti dall’inizio del conflitto a dicembre 2013. In Somalia, nei primi 10 mesi del 2017, sono stati registrati 1.740 casi di reclutamento di bambini. In Yemen almeno 5.000 bambini sono morti o sono stati feriti, ma il numero reale potrebbe essere molto più alto. Oltre 11 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria.

“Violenze di questo tipo – afferma Manuel Fontaine, direttore dei programmi di emergenza dell’Unicef – non possono rappresentare una nuova normalità”. L’Unicef chiede, pertanto, a tutte le parti in conflitto di rispettare gli obblighi del diritto internazionale per porre immediatamente fine alle violazioni contro i bambini e all’utilizzo di infrastrutture civili – scuole e ospedali – come obiettivi, e chiede a tutti gli Stati che possono esercitare influenza sulle parti in conflitto di intervenire per proteggere i bambini.

 

(Continua su: https://agensir.it/quotidiano/2017/12/28/infanzia-nel-mondo-unicef-nel-2017-sempre-piu-bambini-sotto-attacco/).

 

“Sotto attacco” vuol dire che i bambini (non importa l’età, anche se hanno tre, quattro, cinque anni) sono usati in azioni estreme e logicamente a loro insaputa. Raffigurando un nemico che va ucciso, sono usati per tutte quelle azioni che prevedono solo la morte oppure gravi mutilazioni che li renderanno sempre più disabili per il loro futuro, se ne avranno uno. Ma i loro vigliacchi superiori se ne infischiano di quello che un bambino di quell’età potrebbe anche intuire: i bambini sono addestrati in ogni modo con droghe, violenze fisiche, sessuali, psicologiche, che impongono loro la paura di tutto, tranne quella di far fuori il nemico che è dipinto nel modo più emozionale per meglio sviluppare (se possibile) anche l’odio per lui. I bambini sono così incitati a uccidere il “nemico”  anche a colpi di rivoltella e altro, in modo tale che in un attimo la loro infanzia è distrutta, lasciandoli in preda a una confusione mentale governata dalla paura e dal terrore di essere puniti con ogni tipo di violenza: ciò li spinge solo ad obbedire ai capi del momento e ad affrontare ogni impresa. I ricatti sono all’ordine del giorno, anche da parte dei familiari. A questi si accompagnano rituali pseudoesoterici o religiosi, che li portano a vivere nell’incubo costante di essere uccisi dai loro stessi compagni se sbagliano o tentano di svicolare dall’indottrinamento e (magari) fuggire. Tuttavia, il più delle volte non sanno nemmeno dove sono stati portati: conoscono solo le ingiurie e le violenze di chi li comanda.

5) Un occhio chiuso: la potente campagna per Karim, il bimbo più martoriato del mondo

Karim, un bimbo siriano di appena due mesi, porterà per sempre le cicatrici della guerra. A seguito di ben due bombardamenti è prima rimasto orfano e poi ha perso l’occhio sinistro. La sua foto è diventata il simbolo del dolore e della sofferenza di migliaia di bambini, vittime innocenti del conflitto che da oltre sei anni sta martoriando la Siria.

GUERRA IN SIRIA 20 DICEMBRE 2017 15:50 di Mirko Bellis

Karim ha poco più di due mesi ma porterà per sempre con sé le cicatrici della guerra. Aveva solo pochi giorni di vita quando, a fine ottobre, un attacco aereo ha colpito un mercato a Hammuria, la sua città natale nella Ghouta orientale, a pochi chilometri da Damasco. Quel giorno, sua madre stava comprando della frutta assieme al piccolo ed è morta nel bombardamento. Karim, invece, è rimasto ferito. Dieci giorni dopo, un altro raid ha centrato la sua casa e una scheggia ha provocato al bimbo gravi lesioni al cranio e la perdita dell’occhio sinistro. La foto di Karim, con i segni di una profonda ferita alla testa, portato in braccio dal fratellino di 11 anni è stata scattata ai primi di dicembre da Amer Almohibanyl, un fotografo free-lance. "Sono rimasto molto toccato da questa triste storia e non riuscivo a togliermela dalla testa”, ha dichiarato il fotografo. “Quando sono tornato a casa mi sono messo di fronte allo specchio e ho coperto un occhio con la mano per cercare di capire cosa provasse Karim”.

Due settimane dopo, il fotografo ha lanciato sui social network una campagna di sensibilizzazione per esprimere solidarietà al bimbo e richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla tragica situazione in cui vivono i civili nella Ghouta orientale, stretta d’assedio e sotto bombardamenti continui. In poco tempo l’hashtag #SolidarityWithKarim ha fatto il giro del mondo e migliaia di persone hanno pubblicato una loro foto con l’occhio sinistro coperto.

Bambini siriani, semplici cittadini e persino Matthew Rycroft, il rappresentante del Regno Unito all’Onu hanno voluto unirsi alla campagna di solidarietà con il piccolo Karim. Il diplomatico si è fatto fotografare tappandosi l’occhio con la mano, imitando il gesto diffuso sui social media. “Quando ci sediamo al Consiglio di sicurezza – ha scritto in un tweet l’ambasciatore – avvisiamo che l’assenza di intervento porterà la morte di ancora più persone. Altre scuole bombardate. Altri bambini sfregiati. Questo è ciò che vogliamo far capire. I bombardamenti e l'assedio della Ghouta orientale devono finire”.

I medici che hanno prestato i primi soccorsi a Karim hanno dichiarato che il piccolo ha sofferto la perdita di ossa craniche e gravi lacerazioni ai tessuti che hanno colpito il bulbo oculare. Senza un’assistenza specialistica – avvertono i dottori – il bimbo rischia di rimanere deturpato per sempre. Cure mediche che in questo momento non sono disponibili a causa dell’isolamento dell’intera zona, dal 2012 sotto assedio dell'esercito fedele ad Assad.  “Karim è uno dei centinaia di casi nella Ghouta orientale: se i bombardamenti contro i civili non si fermeranno – ha affermato Moayed al-Halafi, dei Caschi bianchi – ci saranno cento o mille Karim”.  “I medici di Ghouta – ha detto Nuor Qussai Nour, un giornalista locale che ha visitato il bimbo lunedì – si stanno prendendo cura di Karim, ma ha bisogno di specialisti in neurologia, oftalmologia e chirurgia estetica”.

Secondo l'Unicef, 137 bambini della Ghouta orientale devono essere evacuati immediatamente. L’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia ha dichiarato che cinque bimbi sono morti a causa della mancanza di cure mediche. Un bambino su otto è malnutrito e, come conseguenza dell’assedio, gli aiuti umanitari arrivano nella zona con il contagocce.

Mirko Bellis


6) Egitto, attacco a chiesta cristiana copta: almeno 10 morti, poteva essere una strage

I due aggressori hanno sparato all’impazzata ma uno di loro aveva anche un cintura esplosiva che non ha fatto esplodere. Uno è stato ucciso, l’altro ferito e catturato dalla polizia.

AFRICA 29 DICEMBRE 2017 15:53 di Antonio Palma

I cristiani copti ancora nel mirino in Egitto, venerdì mattina un altro sanguinoso attacco ad una chiesa locale ad Helwan, a sud del Cairo, è costato la vita ad almeno dieci persone  oltre a numerosi altri feriti. Il già tragico bilancio però poteva essere una carneficina, secondo le autorità di polizia locale, visto che uno dei due attentatori indossava un cintura espulsiva che però non sarebbe riuscito a innescare. Secondo una prima ricostruzione dei fatti, pare che i due terroristi abbiano aperto il fuoco fuori dalla chiesa di San Mena (Mar Mina), uccidendo un ufficiale di polizia e due agenti che erano di guardia al luogo di culto prima di rivolgere le armi contro i fedeli.

Altri poliziotti che si trovavano in zona hanno risposto al fuoco uccidendo uno degli aggressori e ferendo l'altro che è stato arrestato dopo una breve fuga a piedi. Secondo il  portavoce del ministero della Salute egiziana, Khaled Megahed, i due uomini sarebbero arrivati davanti alla chiesa a bordo di una moto sparando all'impazzata su tutti quelli che erano all'esterno. I fedeli si sarebbero rintanati in chiesa. "Eravamo terrorizzati" ha spiegato alla Ap una donna di 40 anni, aggiungendo: "Appena abbiamo sentito gli spari, abbiamo sbarrato le porte. Siamo rimasti chiusi all'interno per oltre mezz'ora. Quando siamo usciti, fuori dalla chiesa, c'era sangue ovunque".

Purtroppo si tratta  solo dell'ultimo attacco contro la comunità copta egiziana che rappresenta la minoranza religiosa più numerosa nella regione, circa il 10% dei 93 milioni di egiziani. Da anni sono nel mirino degli integralisti islamici e negli ultimi mesi gli attacchi si sono via via intensificati con sparatorie e frequenti attentati  ai maggiori luoghi di ritrovo.


Notizie di chiese e moschee coinvolte nelle morse dell’ISIS in Egitto all’ordine del giorno e i morti, cioè i martiri, aumentano di giorno in giorno. Ricordiamo che l’Egitto è la terra dove si è rifugiato Gesù con la famiglia a 5/6 anni e perciò ha lasciato un mucchio di testimonianze (anche possibili leggende ingrandite col tempo), ma che hanno fatto sorgere chiese o luoghi di culto copti (si veda Terra Santa n. 6 dicembre 2017), per cui la parte antica del Cairo porta ancora tracce di cristianesimo.

7) Yemen, coalizione saudita fa strage di civili al mercato: 68 morti, 8 sono bambini

Il raid della coalizione saudita (armata anche da bombe esportate con il consenso del Parlamento italiano) ha causato decine di morti il 26 dicembre. Tra questi molti sono bambini.

MEDIO ORIENTE 28 DICEMBRE 2017  12:54 di Davide Falcioni

È di 68 civili uccisi, tra i quali otto bambini, e decine di feriti il bilancio di due attacchi aerei effettuati dalla coalizione guidata dall'Arabia Saudita in Yemen. La carneficina risale al 26 dicembre e a confermare i numeri della strage è stato oggi Jamie McGoldrick, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite in Yemen. In un tweet il diplomatico ha spiegato che i raid sono stati condotti su un affollato mercato nel quartiere popolare di Al Hayma, nel distretto di Attazziah. Qui sono morte 54 persone, tra cui otto bambini, e i feriti sono stati 32, sei dei quali bambini. Poche ore più tardi altre 14 persone sono state uccise nel bombardamento di una fattoria da parte della coalizione a guida saudita nel distretto di Attohayta. "Questi incidenti – spiega  McGoldrick – dimostrano il totale disprezzo per la vita umana di tutte le parti in conflitto, inclusa la Coalizione guidata dai sauditi".

Quella in Yemen è una guerra che, a differenza di quella siriana, ha catturato molto poco l'attenzione dell'opinione pubblica nonostante stia avendo conseguenze umanitarie devastanti. "Sono passati più di 1.000 giorni dall'inizio della crisi in Yemen e l'unico motivo per cui possiamo ancora continuare ad offrire assistenza a milioni di yemeniti è la generosità di una manciata di Paesi impegnati", ha affermato David Beasley, Direttore Esecutivo del World Food Programme (Wfp) dell'Onu. "Le popolazioni di questi Paesi e i loro governi stanno salvando vite in Yemen, ogni giorno, e noi li ringraziamo di cuore per il loro sostegno. La situazione, però, continua ad essere disperata, e abbiamo bisogno che altri governi donino subito in modo da poter mantenere le persone in vita. E, cosa più importante, chiediamo che si ponga fine al conflitto che sta causando questa catastrofe", ha aggiunto.

La sopravvivenza di più di 8milioni di cittadini yemeniti dipende dagli aiuti alimentari internazionali. Quasi l'80 percento dei finanziamenti al Wfp è stato garantito quest'anno dagli Stati Uniti, dalla Germania, dall'Unione Europea e dal Regno Unito. Gli Stati Uniti hanno fornito il maggior contributo singolo (386 milioni di dollari). L'Italia, in questo quadro, si è segnalata negli ultimi anni come uno dei paesi esportatori di bombe e missili all'Arabia Saudita: armi che, come ha rivelato un'inchiesta di Avvenire, sono state con certezza utilizzate anche in Yemen.

Davide Falcioni


8) “Bombe sarde, morti yemenite”, la Sardegna finisce sul New York Times

 

In apertura del sito di uno dei più importanti giornali americani, The New York Times, la Sardegna. Ma non certo per notizie edificanti

 

Di Federica Melis - 29 dicembre 2017

 

In apertura del sito di uno dei più importanti giornali americani, The New York Times, la Sardegna. Ma non certo per notizie edificanti. “Italian bombs, Yemeni Deaths”. Bombe italiane morti yemeniti. Il caso finisce sulla stampa estera e fa riferimento alla fabbrica di Domusnovas, la RWM,  dove vengono fabbricate parte di quelle bombe poi vendute dal Governo italiano all’Arabia Saudita,  che sta bombardando queste terre. In un video di circa sette minuti si passa dalle bellissima isola delle vacanze alla morte e distruzione seminata  in Yemen.

 

E il giornale newyorchese si chiede se tutto questo sia legale, visto che a morire sono civili, troppo spesso bambini, come documentato  anche dal video.  Qui appaiono anche esponenti politici sardi e  privati cittadini in varie manifestazioni contro la fabbrica che “produce morte” come si legge nelle maglie dei manifestanti. E purtroppo si conferma nelle immagini.

 

(Continua su: http://www.castedduonline.it/bombe-sarde-morti-yemenite-la-sardegna-finisce-sul-new-york-times/).

 

9) Francesco: questa foto scattata a Nagasaki sia monito contro la guerra

 

Un ragazzo con in spalla il fratellino morto nel bombardamento atomico, attende il suo turno per far cremare il corpicino senza vita.

Globalist - 31 dicembre 2017

 

Papa Francesco ha scelto una foto tragica, delle conseguenze del bombardamento atomico a Nagasaki del 1945, per un suo messaggio di pace, contro ogni guerra.

 

"Nagasaki, 1945. Un ragazzo con in spalla il fratellino morto nel bombardamento atomico, attende il suo turno per far cremare il corpicino senza vita. È l'immagine scattata dal fotografo statunitense Joseph Roger O'Donnell - si legge sul retro della foto, in spagnolo - dopo il bombardamento di Nagasaki".

 


Un'immagine" - ha scritto l'Osservatore Romano - che "ha colpito molto Papa Francesco, il quale ha voluto farla riprodurre su un cartoncino, accompagnandola con un commento eloquente, '...il frutto della guerra', seguito dalla sua firma autografa".




(Foto di Joseph Roger O’Donnell – Continua su: http://www.globalist.it/news/articolo/2017/12/31/francesco-questa-foto-scattata-a-nagasaki-sia-monito-contro-la-guerra-2017119.html)

 

10) Migranti, dopo gli accordi con la Libia diminuiscono gli sbarchi: -34% rispetto al 2016

Nel corso del 2017 il Viminale ha registrato un calo degli sbarchi sulle coste italiane pari al 34%. La diminuzione ha interessato soprattutto gli ultimi 6 mesi dell’anno, in concomitanza con l’entrata in vigore degli accordi siglati dal ministro dell’Interno con la Libia.


31 DICEMBRE 2017 15:28 di Charlotte Matteini

Nel corso di questo 2017 ormai agli sgoccioli, sono diminuiti gli sbarchi dei migranti sulle coste italiane. A certificare il calo sono i dati diffusi stamane dal Viminale, i quali evidenziano una diminuzione pari al 34,24% degli arrivi. Dal 1° gennaio fino al 31 dicembre sono sbarcati in totale 119.310 migranti, un terzo in meno rispetto ai 181.436 del 2016. Il calo, però, non ha interessato tutti i mesi dell'anno ma è avvenuto soprattutto negli ultimi 6 mesi, ovvero dopo gli accordi con la Libia siglati dal ministero dell'Interno. Stando ai dati del Viminale, infatti, negli ultimi sei mesi si sono registrati 35.556 arrrivi sulle coste italiane a fronte dei 111.214 dello stesso periodo del 2016, un calo pari al 68%. Nel solo mese di dicembre la diminuzione registrata è stata del 73%, mentre se si considerano solo i migranti partiti dalla Libia, la maggior parte, la flessione è invece pari al 77%. Inoltre, evidenzia il Viminale, nel 2017 è stato rilevato anche un calo del numero di dispersi pari al 38% (2.832 rispetto ai 4.576 del 2016) e del 46% delle vittime recuperate in mare (212 nell'anno corrente, 390 nel 2016).

I Paesi da dove provengono il maggior numero di migranti sono Nigeria, Guinea, Costa d’Avorio, Bangladesh, Mali, Eritrea e Sudan: i nigeriani approdati in Italia sono oltre 18.000, seguono i guineani (9.693) e gli ivoriani (9.504). Sempre secondo i dati del Ministero dell'Interno, i porti maggiormente interessati dagli sbarchi sono stati Augusta (16.858), Catania (15.680) e Pozzallo (11.707), tutti in Sicilia. Nel corso del 2017 è calato anche il numero dei minori non accompagnati giunti sulle coste italiane: dai 25.846 del 2016, nel 2017 i dati hanno registrato 15.731 arrivi, il 39% in meno. Rispetto invece al tema dell'accoglienza, la Lombardia è la regione che ospita più migranti n assoluto (14%), seguita dal Lazio (9%) e dalla Campania (9%). Basilicata e Valle d’Aosta sono invece le regioni che registrano meno presenze.

Per quanto riguarda i progetti attivati nell'ambito del programma di accoglienza migranti, in totale, nel 2017, sono stati finanziati 260 progetti presentati da 257 enti, con un incremento della rete Sprar di oltre il 46%. Con l'ultimoo decreto siglato dal ministro Minniti, inoltre, 167 enti sono stati autorizzati alla prosecuzione dei progetti per il triennio 2018-2020 e sono stati concessi ulteriori contributi a 46 enti locali per ampliare così la capacità di accoglienza di ulteriori 1.423 posti. In conclusione, il Viminale, per quanto riguarda la relocation dei profughi in altri Paesi europei, nel 2017 ha registrato 11.464 partenze di cui 10.282 adulti, 1.083 under 18 e solo 99 minori stranieri non accompagnati. Sono 698 le persone in attesa di trasferimento con voli previsti a gennaio, tra cui 79 minori non accompagnati. Sono 843 i casi per cui l'istruttoria è stata completata, mentre la domanda di 229 è in corso.

Charlotte Matteini


Se è vero che diversi migranti tornano al paese da cui sono fuggiti,è altrettanto vero che una volta ritornati non sono accolti con trombe e strette di mano,ma il più delle volte sono ricercati,imprigionati ed anche assassinati,ma questo non di deve dire per non suscitare delle reazioni anche del popolo che non tollera l’invasione continua dei migranti. E’ ben vero che tra i migranti si possono infiltrare delinquenti comuni e istigato rima un controllo più approfondito farebbe scattare allarme più specifico,è anche vero che le comunità dove i migranti stanno in osservazione,spesso sono luoghi non capienti ed improvvisati proprio per guadagnare sulla pelle die medesimi. E’ anche vero che molte regioni ed associazioni di volontari veri si adoperano al meglio di tutto e se ci sono dei rientri,posso ricordare morti per soffocamento (partenze da paesi al nord)per zittire donne che urlavano che non volevano ritornare.E chi ha paura a ritornare da dove è fuggito,ha paura e farà di tutto se vede uno spiraglio di scappare al ritorno forzato e successive incognite. L’umanità ha a che fare con gente che vuol guadagnare sulle disgrazie altrui facendosi passare per gente che si osteggia a benefattori,ma sono lupi e feroci.

11) Boko Haram ha cambiato pelle ma uccide sempre di più

Il leader Abubakar Shekau ricompare in video per rivendicare le violenze che insanguinano la Nigeria. E smentisce così il presidente Buhari, che aveva dichiarato il nemico battuto. Il gruppo è stato sì indebolito, ma soprattutto, ha cambiato missione. In cerca di attività più redditizie

Marco Cochi Venerdì, 05 Gennaio 2018

Lo storico leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, martedì scorso ha pubblicato sulla rete un video messaggio in lingua hausa di 31 minuti rivendicando una serie di attacchi compiuti dal gruppo jihadista durante le festività natalizie. L’ultima apparizione in video di Shekau risaliva al 14 agosto 2017, quando venne postato su YouTube un filmato nel quale l’estremista islamico scherniva il presidente nigeriano Muhammadu Buhari e il Capo di Stato Maggiore dell’esercito, il generale Yusuf Buratai.

Dopo oltre quattro mesi, Shekau è tornato sulla rete per celebrare l’ondata di violenze che nei mesi scorsi ha insanguinato diverse località nel nord-est della Nigeria come Maiduguri, Magumeri, Gamboru, Damboa, Biu e Mubi, ma soprattutto per smentire il governo di Abuja, che dall’inizio del 2016 continua ad affermare che Boko Haram è stato sconfitto.

Il video mostra anche le immagini di un attacco del giorno di Natale contro un posto di blocco militare nel villaggio di Molai, alla periferia della città di Maiduguri, che secondo l’esercito è stato sventato dalle truppe dopo un’ora di combattimenti.

Gli attacchi continuano

Il messaggio di Shekau arriva pochi giorni dopo che 25 taglialegna sono rimasti uccisi in un agguato dei miliziani di Boko Haram a venti chilometri da Maiduguri, la città simbolo dell’insurrezione del gruppo islamista. Mentre nel mese di dicembre gli estremisti nigeriani hanno attaccato convogli dell’esercito e inviato kamikaze a fare strage di civili negli affollati mercati delle città del nord-est della Nigeria. E lo scorso 21 novembre, almeno 50 persone sono rimaste uccise, quando un giovanissimo attentatore suicida si è fatto esplodere mentre si recitavano le preghiere del mattino nella moschea di Mubi, nello stato di Adamawa.

Tuttavia, in un recente comunicato, l’esercito di Abuja ha affermato di aver indebolito il gruppo con la sua operazione “Deep Punch II”. Mentre nel suo discorso di Capodanno, il presidente Buhari ha nuovamente dichiarato che «Boko Haram è stato battuto e si registrano ancora alcuni attacchi isolati perché anche nelle città maggiormente controllate non è possibile impedire a determinati criminali di commettere terribili atti di terrore».

Successi nel contrasto al gruppo estremista

Ma i numerosi attacchi sopra citati sembrano smentire le dichiarazioni dell’esercito e del capo dello Stato. Anche se è innegabile che ultimamente sono stati registrati alcuni successi nella lotta al movimento islamista, come l’eliminazione di Mallama Fitdasi. La donna era una delle mogli di  Shekau e aveva un ruolo di coordinamento logistico all’interno di Boko Haram, dimostrato dal fatto che quando è rimasta vittima di un bombardamento dell’aviazione nigeriana stava presiedendo una riunione con alcuni membri di spicco dell’organizzazione.

Ed è vero che le operazioni militari coordinate della Multinational joint task force (Mnjtf) composta da Nigeria,  Ciad,  Camerun,  Niger e Benin, hanno indebolito notevolmente Boko Haram e ridotto il territorio sotto il suo controllo, che nel 2014, all’apice della sua affermazione, si estendeva per oltre 50 mila km², estesi nelle provincie settentrionali di Borno, Yobe e Adamawa.

Inoltre, Boko Haram da quasi un anno e mezzo è minato da faide interne, che l’hanno diviso in tre fazioni, tra le quali emergono quella di Abubakar Shekau e quella di Abu Musab Al-Barnawi, figlio del fondatore della setta, Mohammed Yusuf, la cui leadership è riconosciuta dallo Stato Islamico. È inoltre innegabile, che il contrasto delle forze di sicurezza nigeriane nei confronti del gruppo terroristico continua a essere serrato.

Ciononostante, già nello scorso ottobre gli attacchi avevano registrato un significativo incremento, mentre da maggio a settembre 2017, i membri di Boko Haram hanno ucciso almeno 381 civili, oltre il doppio rispetto a quelli eliminati nei cinque mesi precedenti.

Ulteriore conferma della resilienza degli estremisti nigeriani arriva da un recente studio realizzato dal Combating Terrorism Center dell’Accademia militare di West Point, che rileva come il cospicuo aumento degli attacchi sia dovuto all’impiego di un maggior numero di kamikaze, che nei primi sei mesi del 2017 hanno lanciato 54 azioni suicide, un numero superiore a quello relativo allo stesso periodo del 2014, quando questo genere di attentati aveva raggiunto una frequenza allarmante.

La fuga di 700 ostaggi dalle isole del lago Ciad

Anche la fine della prigionia di 700 persone prese in ostaggio dal gruppo jihadista e fuggite martedì scorso da diverse isole del lago Ciad, prova che questo ingente numero di prigionieri era detenuto in strutture sotto il controllo di Boko Haram. E anche se l’esercito nigeriano le ha distrutte e ha provocato il collasso dei centri di comando nella zona, Boko Haram esercita ancora il controllo di alcune porzioni di territorio nell’area.

C’è poi chi avanza l’ipotesi, come il giornalista nigeriano Aminu Abubakar, che tutto questo abbia determinato una metamorfosi all’interno di Boko Haram. Secondo Abubakar, che segue dall’inizio le vicende del gruppo jihadista, gli estremisti nigeriani avrebbero gradualmente abbandonato l’originale missione di creare un califfato islamico nel nord-est della Nigeria, per trasformarsi in un’organizzazione criminale.

Il gruppo islamista si starebbe quindi de-radicalizzando per dedicarsi ad attività più redditizie, tra le quali primeggiano il furto di bestiame, i sequestri e le razzie, ma anche attività criminali molto più remunerative, come il traffico di droga. La specializzazione del gruppo in quest’ultimo ‘business’ è provata nell’ultimo rapporto sul traffico mondiale di droga realizzato dall’Unodc, che evidenzia come Boko Haram sia implicato nel contrabbando di eroina e cocaina in tutta l’Africa occidentale.

(Continua su: http://eastwest.eu/it/opinioni/sub-saharan-monitor/nigeria-boko-haram).

12) Libia, si rovescia gommone al largo di Tripoli: 16 migranti salvati, quasi 100 dispersi

Nuova tragedia nel Mediterraneo, dove un gommone con un centinaio di persone a bordo è affondato al largo di Tripoli: solo in 16 sono stati tratti in salvo.

10 GENNAIO 2018 07:42 di Davide Falcioni

Una nuova tragedia del mare si è consumata nel Mediteraneo: un gommone che trasportava tra le 90 e le 100 persone si è rovesciato al largo delle coste libiche ed è affondato. Come rivela il portavoce della Marina Militare libica Ayoub Kacem solo 16 persone sono state tratte in salvo, comprese alcune donne. I superstiti hanno riferito ai soccorritori che il gommone trasportava oltre 100 migranti quando si è inabissato.  "Abbiamo trovato il gommone con i migranti intorno alle 10 del mattino (di ieri ndr.). Era ormai affondato ed abbiamo messo in salvo 16 persone. Il resto dell'equipaggio, sfortunatamente non c'era più e non abbiamo trovato né superstiti né cadaveri" ha dichiarato il comandante della guardia costiera libica Nasr al Qamoud, citato dal sito della Reuters.

Molti tra i sopravvissuti, che sono stati trasferiti nella base navale a Tripoli, hanno riferito che a bordo del gommone affondato c'erano almeno 70 persone al momento della partenza da Khoms, ad est della capitale. In un comunicato della guardia costiera si sostiene pero' che "almeno 90 o 100" migranti risultano scomparsi. Solo ieri sempre la guardia costiera libica era riuscita a trarre in salvo altri 135 migranti di "diverse nazionalità africane" su un'imbarcazione "davanti alle coste di Gasr Garabulli". Tra loro vi erano anche dieci donne in stato di gravidanza. L'inizio del 2018 è stato segnato dal naufragio – il 6 gennaio – di un gommone carico di migranti una quarantina di miglia a nord dalle coste di Tripoli, salpato molto probabilmente, ancora una volta dal porto di Gasr Garabulli. Le vittime accertate sono state 64, in un mare – Il Mediterraneo – che giorno dopo giorno somiglia sempre più a un cimitero di migranti. Nel 2017 sono stati oltre 3mila i profughi annegati, anche se si tratta di una stima decisamente prudente visto che sono migliaia anche i dispersi.

Davide Falcioni


13) Cina. Fuori ci sono -9°C: bimbo fa 4,5 km a piedi e arriva a scuola congelato. La foto è virale

Una storia davvero toccante quella che arriva dalla Cina. Wang è un bambino di circa 8 anni, proveniente da una famiglia povera; cammina ogni giorno per oltre un’ora per arrivare nella sua scuola, a Zhuanshanbao. E non resta a casa neanche con le temperature gelide di questo periodo. Arrivato in classe coi capelli intirizziti, il suo maestro gli ha scattato una foto: e il mondo così ha saputo di lui.

10 GENNAIO 2018 20:58 di Biagio Chiariello

I capelli e le sopracciglia ricoperti dal ghiaccio dopo aver camminato per oltre un'ora nelle gelide temperature di questo periodo per raggiungere la sua scuola. Addosso abiti tutt’altro che pesanti e le guance rubiconde dal freddo. La fotografia è stata scattata da un insegnante dell’istituto elementare di Zhuanshanbao, in una zona rurale di Zhaotong, nella provincia dello Yunnan ed è diventata virale in poche ore: il bimbo, provenite da una famiglia povera, percorre ogni giorno 4,5 chilometri da casa sua alla scuola, secondo quanto riporta South China Morning Post, che cita il sito Web Thepaper.cn.

Il piccolo è stato identificato come Wang Fuman: nella foto è in piedi in classe con i compagni alle sue spalle che ridono, forse per il suo aspetto. Il piccolo sembra comunque a sua volta divertito. Il preside della scuola ha confermato che il ragazzino impiega più di un'ora per andare a scuola ogni giorno. "E quel giorno la temperatura al mattino era di -9°C", ha detto il preside. Wang è un "figlio della sinistra", un termine usato in Cina per descrivere i bambini di famiglie povere i cui genitori lavorano in città lontano da casa. Il piccolo infatti vive con sua sorella maggiore e sua nonna. Wang non ha mai lasciato il suo villaggio e sogna di visitare Pechino: "Fa un po’ freddo andare a scuola, ma non è difficile", ha detto ai media locali. "Vorrei vedere come studiano gli altri bambini a Pechino, qui da noi non ci sono neanche i riscaldamenti in classe", ha aggiunto. Il suo sogno è di diventare un giorno un poliziotto "così posso catturare i cattivi", dice.

Dopo che la storia di Wang ha catalizzato l’attenzione dei media in Cina, molti si sono offerti di aiutare la sua famiglia. "Mentre scrivo questo, sto piangendo. I bambini non si possono lasciare così, da soli ", ha commentato una persona. "La sofferenza che stai provando oggi, illuminerà il tuo futuro" ha scritto un altro utente. Secondo quanto scrive Thepaper.cn,  le autorità locali nello Yunnan e un fondo per lo sviluppo giovanile avrebbero lanciato un programma per fornire abiti invernali a Wang e agli altri bambini della zona.

Biagio Chiariello


Questa storia non è l’unica che dimostra la caparbietà di chi vuole studiare, lavorare e si sacrifica alla grande non facendo sapere a nessuno le difficoltà che incontra a crescere da uomo/donna per il futuro suo e nostro: ricordiamolo!

Queste persone sono da ammirare e scuotono la coscienza anche di autorità che cominciano ad interessarsi di loro, che sono dei ragazzi che vogliono vivere e crescere come tutti gli altri ragazzi del mondo civile, anche se a loro costa molto di più. Anche se figlio della sinistra, secondo una terminologia delle autorità vippiane, ben vengano quei figli della sinistra. Bravi! Avanti così! In questo modo potrete cambiare il mondo della corruzione e violenza. 

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